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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2011 alle ore 14:35.

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La recessione spaventa i mercati come una tempesta, un evento esterno non evitabile. In realtà imprese e governi possono fare molto per impedire che il vento di agosto auto realizzi le predizioni drammatiche dei listini e si trasformi in uragano. Come? Per rispondere è di aiuto riflettere sul rallentamento della Germania e le sue conseguenze per il nostro paese.

I nostri soci oltralpe hanno di fatto tre ruoli diversi: traducendo in metafora ferroviaria, quello della locomotiva, quello del compagno di viaggio e quello del capotreno/controllore. La Germania locomotiva perde vapore e il treno rallenta. Essendo il principale mercato di destinazione delle nostre esportazioni, due volte maggiore degli Stati Uniti e cinque della Cina, ovviamente ne soffre anche la nostra crescita. Ma qui il problema va oltre i confini tedeschi. Tutta l'Europa frena, compresa la Francia, per noi secondo mercato. Chi sia il vagone e chi la locomotiva ha allora poca importanza.

La Germania, dal punto di vista delle nostre imprese, è soprattutto rilevante per il suo modello di sviluppo orientato alle esportazioni. La sua struttura produttiva è quella meglio in grado di competere nelle nuove complessità del mercato globale. Tanto che molte nostre aziende, produttori di beni intermedi e strumentali, considerano la Germania come la piattaforma attraverso cui arrivare ai mercati extra-europei e con le imprese oltralpe collaborano in reti produttive integrate. Allora, il rallentamento tedesco, significa forse che anche questa strategia vincente di crescita globale non funziona più?

Su questa domanda si innesta la seconda prospettiva, quella del compagno di viaggio. E qui le aziende hanno molte carte da giocare. Infatti l'Italia, secondo esportatore europeo di manufatti sta perseguendo una strategia simile di sviluppo. Il nostro paese è indietro nei valori medi, ma le nostre aziende eccellenti sono simili nelle caratteristiche e nel comportamento a quelle tedesche. Allora, se il mercato globale non tira siamo nei guai anche noi, appunto come i nostri compagni di viaggio? Nel dato tedesco pesa in effetti il rallentamento delle esportazioni verso i paesi emergenti, anch'essi in frenata. È però difficile pensare che questa sia una strategia sbagliata. Infatti, gli indici di fiducia degli imprenditori tedeschi sono migliorati, la disoccupazione è ancora in calo e al rallentamento di consumi interni ed export fa comunque da contrappeso la stabilità degli investimenti. Le imprese tedesche credono ancora nel loro futuro e le nostre fanno lo stesso. Abbandonare una strategia orientata ai mercati ed alla produzione globale, che anche in fase recessiva comunque sfrutti le migliori opportunità, sarebbe suicida. Tra l'altro, dato che sul treno i posti sono pochi e non abbastanza per tutti, il viaggio comune degli imprenditori italiani e tedeschi è fondato sulla concorrenza. Chi molla il posto, può essere certo che lo lascia libero per l'altro.

Infine, c'è il terzo punto di vista, quella della Germania capotreno. Questo ha a che fare con la politica e i Governi europei. Il rallentamento porterà ad un'agenda di maggiore o minore coesione economica nell'Unione? La salvezza dell'Euro e della regione (e soprattutto di paesi indebitati come il nostro) passa inevitabilmente per un rafforzamento dell'integrazione economica dell'area. Ora, una Germania più debole potrebbe da un lato pensare di poter avere lei stessa maggior bisogno del salvagente collettivo europeo e dunque spingere per una maggior coordinamento delle politiche e di integrazione del Mercato Unico. Qui c'è ancora molto margine di manovra, un consolidamento dello spazio comune europeo favorirebbe la crescita di tutti i paesi membri. D'altro canto, potrebbe invece essere indotta a ritirare la già ben esitante manina del sostegno ai paesi periferici e rafforzare rigore fiscale e di fatto isolamento. Come sottolinea Ralph Atkins sul Financial Times, il rischio è di un circolo vizioso: la rettitudine fiscale tedesca peggiora la crisi del debito europeo, con un ulteriore shock negativo sugli investimenti e sulla creazione di posti di lavoro.

Il bipolarismo di queste due possibili scelte è già emerso dal vertice Sarkozy-Merkel. L'approccio pro integrazione ha proposto una tassazione di impresa armonizzata in tutta l'Unione. Quello più difensivo - ahimé prevalente - ha impedito che venisse avanzata formalmente la proposta degli Eurobonds, ha richiesto condizioni vincolanti per l'erogazione dei fondi strutturali ed ha nutrito la demagogia della Tobin tax.

I margini per rafforzare la competitività di tutta l'Unione attraverso un rafforzamento del Mercato Unico sono molti. Se la Germania capotreno/locomotiva dal passo lento si facesse paladina di questa direzione di marcia molti dei problemi europei sarebbero superati. L'altra opzione, invece, porterà inevitabilmente tempesta e recessione.

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