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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2011 alle ore 15:27.

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Quando è stato inventato, il brevetto era una sorta di scudo, che serviva a difendere il frutto del proprio ingegno dalle scorribande altrui. Oggi, si è trasformato in una clava da dare sulla testa dei concorrenti o, in alternativa, per restituire il colpo. Le clave devono costare più degli scudi, visto che una serie di recenti operazioni finanziarie ha alzato drasticamente il valore economico della proprietà intellettuale.

Lo scorso dicembre, la casa di software Novell aveva venduto i suoi 822 brevetti a 450 milioni di dollari. Ovvero, a 547mila dollari l'uno. Poi però, a giugno, un pool di sei società guidate da Apple e Microsoft ha comprato i 6mila brevetti del fallimento Nortel alzando la posta fino a 4,5 miliardi di dollari, pur di tenere Google alla larga: fanno 750mila dollari a brevetto. Indistintamente, senza tenere conto del loro grado di sfruttabilità.

Google ha comprato Motorola Mobility pagandola 12,5 miliardi, con un generoso premio del 63% sul prezzo di Borsa. Motivo: Motorola ha in pancia 17mila brevetti, più altri 7.500 in via di autorizzazione. Dodici miliardi e mezzo diviso 24.500 brevetti, fa "soltanto" 510mila dollari a brevetto. «Con l'acquisizione di Motorola – sentenziano gli analisti di Frost & Sullivan in un report – Google ha comprato un portafoglio di brevetti e si è trovata con un'azienda di telefoni in regalo».

Certo, si tratta di una situazione eccezionale. Oggi si stanno facendo i giochi per il dominio del computing mobile, ovvero quello che sta rimpiazzando il personal computing sul quale Microsoft ha regnato da sola per quasi tre decenni. E questa folle corsa sul filo dell'innovazione ha cambiato la natura della proprietà intellettuale, da difensiva a offensiva. Il grafico delle cause legali in corso fra Apple, Nokia, Google, Microsoft, Samsung, Htc, Rim, Sony e via dicendo, assomiglia a una ragnatela inestricabile, dove non ci possono essere né vinti né vincitori. A patto che tu abbia in tasca qualche altro brevetto col quale restituire, all'occorrenza, il colpo.

Sul mercato, così, ci sono almeno due prede che potrebbero far gola ai litigiosi pretendenti al trono (non più monoposto) del computing mobile. Prima su tutte la InterDigital, che possiede 1.700 brevetti di telefonia e che non fa mistero di essere in vendita: quotata al Nasdaq, negli ultimi 40 giorni è salita da 35 a 82 dollari, salvo chiudere venerdì a 63. Secondo la Reuters, avrebbe gli occhi addosso di Nokia, Qualcomm, Apple e altri ancora. Il deal sarebbe imminente.

L'altra preda possibile è Kodak. Subito dopo l'operazione Google-Motorola, il titolo dell'ex regina della fotografia – finita nella polvere per non aver saputo agganciare la rivoluzione digitale – è salito del 40% in tre sedute a 3 dollari. A voler applicare i nuovi principi contabili della brevettabilità, soltanto la sua proprietà intellettuale (orientata alle tecnologie dell'immagine) varrebbe 3 miliardi.

Ora Kodak capitalizza 800 milioni. La InterDigital 2,8 miliardi. In teoria ci potrebbero essere altre prede, che però costano di più. Un perfetto esempio è Alcatel Lucent, che ha tutte e tre le qualità richieste: origini antiche (più sei vecchio e più brevetti hai) e grandi tradizioni di ricerca (si porta in dote i Bell Labs). Sin dagli anni 20, i Bell Labs sono stati il motore dell'innovazione nelle telecomunicazioni e oggi Alcatel ha 4.200 brevetti attivi in America e 6mila in Europa. La terza virtù è non costare troppo cara: a Parigi la società capitalizza 5,4 miliardi. Pur senza un simile pedigree, c'è chi punta il dito su Nuance (software per il riconoscimento vocale, Nasdaq, 4,9 miliardi) e Nxp Semiconductor (chip per applicazioni mobili, Nasdaq, 4 miliardi).

Lungo la catena alimentare, si arriva ai bocconi troppo grossi, come Qualcomm. La società di San Diego, astro nascente dei chip mobili per apparecchi Android, è perfetta testimone della forza economica del brevetto. È un'impresa fabless, senza fabbriche. Solo col potere della sua brevettata proprietà intellettuale, fa produrre ad altri i chip che disegna e li rivende. Non a caso, al Nasdaq vale 78 miliardi.

Chissà fin dove arriverà, l'indiscriminata rivalutazione dei brevetti, un tanto al chilo. La stessa Ibm, la società che ha 40mila brevetti attivi, che di media si vede approvare 23 invenzioni al giorno, ovviamente non tutte della stessa qualità (una volta, non è uno scherzo, ha perfino cercato di brevettare la brevettabilità) ha già visto un effetto sul conto economico: due settimane fa, senza clamori, ha venduto a Google mille brevetti per una cifra non precisata. Certamente non modesta.

Gli echi di questa battaglia fra i giganti "mobili" sono già arrivati in Australia e in Europa, con la controversia Apple vs. Samsung. Ma il vero teatro dove la disfida va in scena resta in America, la patria delle infinite opportunità. Il 16 agosto, lo Us Patent and Trademark Office ha approvato la clava, pardon il brevetto, numero 8.000.000.

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