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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 10:10.

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Le popolari tengono meglio dei colossi del creditoLe popolari tengono meglio dei colossi del credito

A Piazza Affari, ieri, la Popolare di Milano (+4,6%) è stata tra i migliori del Ftse Mib. Una sorpresa? A una lettura superficiale la risposta è positiva. Se, però, si allarga un po' l'angolo visuale la prospettiva cambia: è da un po' di tempo, infatti, che l'istituto di credito (+15,3% dall'11/7/2011, cioè dall'inizio dello tsnunami di vendite su Milano) zitto zitto ha risalito la china. E con lui, altre banche popolari. La prova? Basta guardare le performance. La Popolare dell'Emilia Romagna per esempio, a fronte di un calo del Ftse bank di oltre il 22%, in agosto ha guadagnato il 3,35% (+ 5,53% dall'11 luglio). Un consuntivo agostano sopra la pari che caratterizza altre due società: la Popolare di Sondrio (+5,09%) e la Banca popolare di Spoleto (+0,4%). In calo invece, seppur sempre migliori del paniere di riferimento, due big come il Banco Popolare (-11,04%) e Ubi Banca (-20,86%).

Al di là di questi ultimi due casi, la domanda è d'obbligo: quali le motivazioni alla base di un simile trend? «Si tratta - risponde Sergio Pigoli, analista indipendente- di un mix di cause. In primis, molte di queste società hanno più una dimensione locale che internazionale. Giocoforza, sono meno presenti nei portafogli dei gestori esteri che hanno venduto l'asset Italia a piene mani». Di conseguenza, sono rimasti maggiormente al riparo dalla grandinata rispetto a istituti come Intesa SanPaolo (-31,8% in agosto) o UniCredit (-28%).
«In tal senso, può trovarsi una parziale giustificazione tecnica al più ampio calo del Banco Popolare e di Ubi: presenti nel Ftse Mib, sono oggetti di cessione quando il derivato sull'indice stesso è venduto allo scoperto». Già, lo short selling. Anche il divieto di "shortare" i bancari può aver dato il suo contributo, «seppure, da solo, non giustifica la risalita dei titoli».

Più in generale, invece, ha aiutato la percezione di essere meno esposti sul fronte del debito sovrano di Eurolandia. Nell'attuale fase, spesso posseduta da panic selling, il solo detenere titoli di stato è visto, giusto o sbagliato che sia, come un atout negativo. Così, per molte di queste banche può parlarsi di un 2011 suddiviso in due. Nella prima parte dell'anno sono state vissute, sul fronte del funding, come troppo legate al solo mercato italiano. Un'economia che cresce poco e, giocoforza, spinge verso l'alto il costo della raccolta. Tanto che, allargando lo sguardo sull'intero 2011, spesso la loro performance peggiora: la Pop Milano per esempio cede il 36,8%, la Bper il 22,46 e la Pop di Sondrio oltre il 9 per cento.

Più di recente, però, proprio la minore esposizione ai titoli di stato dei paesi periferici le ha fatte apparire più interessanti agli investitori. Anche perché, va ricordato, le loro quotazioni sono veramente schiacciate. Secondo il consensus, il Price to Book value 2011 (al netto dell'avviamento) va dallo 0,35 di Banco Popolare allo 0,37 di Ubi fino allo 0,45 di Pop Milano. Insomma, non proprio prezzi da "gioielleria".
Se questi alcuni degli elementi generali che possono aver ridato spinta ai titoli, ci sono temi particolari sulle singole società?
Per gli esperti, il futuro aumento di capitale ha certamente un effetto "calamita" sulla quotazione della Popolare Milano (+9,6% in agosto). «Più le azioni scendono - ricorda Pigoli - e più l'effetto diluitivo della ricapitalizzazione aumenta. Così, è abbastanza normale che il prezzo del titolo si adegui a un valore maggiormente compatibile con un'operazione che, ricordiamolo, ha un tetto massimo previsto di 1,2 miliardi».

Più fondamentali e meno straordinarie, invece, le motivazioni per un gruppo come quello di Bper. «Può anche essere l'interesse per una storia, per così dire "nuova" - sottolinea Elena Perini, Cfa Equity Research Department di Centrobanca -. Quotata fino a qualche anno fa all'Expandi, potrebbe interessare maggiormente agli istituzionali. Anche perché i suoi ratio patrimoniali sono buoni». Vale a dire? «Stimiamo un core tier 1 ratio di gruppo, a fine 2013 e post Basilea 3, del 7,3 per cento. Un valore di assoluto rispetto per una popolare che non ha avuto bisogno di aumenti di capitale». Insomma, questi gruppi spesso al centro delle polemche per il voto capitario, per ora, risalgono. La speranza? Che non si tratti solo di un effetto ottico.

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