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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2011 alle ore 07:42.

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Warren Buffett ha provato a tagliare a colpi di miliardi di dollari i nodi che ancora oggi avvinghiano le banche americane. Ma la nuova missione potrebbe rivelarsi una delle più ardue e incerte mai intraprese anche dal leggendario Oracolo di Omaha. Se gli istituti europei soffrono per i dubbi sull'esposizione al debito sovrano del Vecchio continente, il caso di Bank of America mostra che anche oltreoceano il settore ha tuttora i suoi scheletri nell'armadio: resta perseguitato dalla crisi immobiliare, potrebbe trovarsi in bilancio asset di dubbio valore e, dopo salvataggi e rilanci dei profitti grazie a generosi aiuti pubblici, rischia infine e forse soprattutto di pagare oggi a caro prezzo gli orizzonti nuovamente cupi dell'economia. Abbastanza da allarmare investitori che erano stati faticosamente tranquillizzati da riforme di regolamentazione, manovre di ricapitalizzazione e stress test.

Jason Goldberg di Barclays Capital l'ha messo nero su bianco in un immediato rapporto: teme che questa volta l'intervento di Buffett non basti neanche a rimuovere del tutto le paure da Bank of America. Che, in qualità di più grande banca americana per asset, è ancora sinonimo di too big to fail, troppo grande per fallire. Sintomo dell'inquietudine? Il titolo del più fragile tra i grandi istituti americani, il più danneggiato dalle perdite sui mutui subprime per aver assorbito la fallita Countrywide, resta in calo di circa il 50% da inizio anno, valutato circa un terzo del valore di libro per azione. Né questo nervosismo è isolato. JpMorgan, l'istituto invece più in salute che ha evitato passivi persino nei trimestri più bui del 2008, è a sua volta in calo del 18% nel 2011 e viaggia al di sotto del formale book value per azione. Dei 15 principali istituti a stelle e strisce, nel timore di sorprese sgradite ancora in serbo, ben 12 sono scambiati a meno del valore di libro. E solo nell'ultimo mese l'indice bancario Kbw ha battuto in ritirata di oltre il 20 per cento.

C'è chi, a simili quotazioni, vede ormai titoli sottovalutati e opportunità d'investimento - non solo per Buffett. Anche questo automatismo, però, al momento si è inceppato. Gli interrogativi sulla crescita, con elevata disoccupazione e continui rovesci immobiliari, stanno erodendo la fiducia nella marcia di un settore ancora scottato dalla storica bufera finanziaria di tre anni or sono. E non solo l'Oracolo di Omaha ma persino il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke, dal simposio di Jackson Hole dove parlerà oggi, potrebbe difettare d'una bacchetta magica adatta a scacciare lo spettro di ricadute in recessione o gravi debolezze e delle loro ripercussioni. A ben guardare, le previsioni di utili per il settore nei prossimi trimestri sono state ormai ridimensionate dagli analisti di pari passo a quelle del Pil, spesso del 30 per cento.

«Il concetto che se le banche funzionano l'economia funziona va ribaltato», ha detto Robert Albertson, di Sandler O'Neill. «L'outlook negativo sul settore deriva dalla scarsa visibilità sui volumi di nuovi prestiti, sulle entrate e sugli utili», ha incalzato Christopher Whalen di Institutional Risk Analytics. Ancora: «Le banche rimarranno vittime di una recessione delle revenue», ha sentenziato Edward Najarian di Isi. Investment banking e trading, pilastri di regine di Wall Street quali Goldman Sachs e Morgan Stanley, a loro volta non possono più garantire successi su mercati in affanno: le entrate da queste attività per le prime dieci banche globali sono scivolate nel primo semestre. E nell'intero 2011 gli introiti da trading potrebbero riservare delusioni del 10 per cento. Altre strategie saranno messe alla prova dei fatti: la terza banca statunitense - quella Citigroup che con Bank of America ha ricevuto i maggiori aiuti federali e varato la più drastica ristrutturazione nel comparto - scoprirà se la sua scommessa sui mercati emergenti la pone al riparo dalle incognite.

Questo non vuol dire che nuovi collassi - sul modello Lehman - siano alle porte. Le banche hanno accumulato ampie riserve di liquidità e capitali per affrontare eventuali shock. La Fdic, l'ente federale che assicura i depositi, ha ridimensionato per la prima volta dal 2006, all'11,5% del totale, il numero di istituti problematici. Se tuttavia profezie di «Bankageddon», di fini del mondo bancario conosciuto, trovano scarsa eco, il pericolo più prosaico è tutt'altro che insignificante: operare a lungo in un clima di debolissima crescita e tassi d'interesse ai minimi può rimescolare le carte dei protagonisti della finanza. La stessa Fdic ammette che i profitti settoriali, pur aumentando nel secondo trimestre, hanno frenato rispetto ai ritmi degli scorsi sette, e che la redditività è inferiore ai picchi pre-2008. L'incertezza può premiare solo banche capaci di accaparrarsi quote di mercato a spese di rivali. Non a caso, forse, nei giorni scorsi si era diffusa la voce che proprio Bank of America potesse fondersi con JpMorgan. Una voce smentita. Ma prima dell'investimento di Buffett la banca aveva negato di volere nuove iniezioni di capitale.

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