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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 07:47.

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Un sospiro di sollievo deve essersi sentito ieri mattina fra gli operatori e probabilmente anche nelle stanze del Tesoro. L'asta di ieri ha dopotutto dimostrato che il mercato resta ancora disposto a comprare i BTp e a finanziare l'enorme debito pubblico italiano.

E non si tratta certo di un segnale scontato perché giunge alla fine di questo mese di agosto, che ormai ci ha abituato alle peggiori sorprese, e all'indomani del ridisegnamento di quella Manovra chiesta a gran voce dalla Banca centrale europea (Bce) e dalla comunità internazionale.


Il calo dei rendimenti a cui i titoli di Stato sono stati offerti rappresenta dunque una buona notizia per le casse pubbliche: il finanziamento del debito costa meno, o quantomeno non è così gravoso come si poteva temere soltanto un paio di settimane fa. Cullarsi sugli allori dei risultati del collocamento di ieri sarebbe però un errore imperdonabile per il nostro Paese, perché a guardarli bene quei risultati riflettono un quadro fatto sì di qualche luce, ma anche di molte ombre.

I dati sulla domanda, anzitutto, evidenziano segni di debolezza: chi acquista i BTp si trova sempre, ma cresce anche la platea degli scettici. Per alcuni analisti (di banche d'affari estere), il livello del rapporto fra domanda e offerta (bid-to-cover) inferiore a quello delle aste precedenti suggerirebbe che la gran parte dei titoli collocati siano rimasti in Italia, in mani amiche si potrebbe dire: i dubbiosi si anniderebbero insomma fuori dai confini nazionali e, quel che è peggio, non ci sarebbero segnali di particolare interesse da parte dei grandi investitori istituzionali.
La controprova di questa (parziale) disaffezione naturalmente non esiste, ma per gli operatori una cosa è certa: senza la mano della Bce e dei suoi riacquisti di titoli (italiani e anche spagnoli) sul mercato secondario il risultato realizzato nell'asta di ieri non sarebbe neanche lontanamente ipotizzabile.

E la conferma di quanto sia importante la mano di Francoforte la si è avuta immediatamente dopo l'operazione del Tesoro: il differenziale di rendimento del nostro titolo decennale nei confronti del Bund tedesco si è rapidamente allargato fino a tornare sopra la soglia psicologica del 3% (o 300 punti base). Non accadeva da 3 settimane e soltanto le voci di nuovi interventi in acquisto da parte dell'istituto centrale hanno contribuito a raffreddare in parte la situazione nelle ore successive.
Vista sotto quest'aspetto, la fiducia che i mercati hanno accordato al nostro Paese nelle ultime settimane non è certo a tempo illimitato e sembra anzi avere una scadenza. È infatti chiaro (e lo stesso Jean-Claude Trichet lo ha fatto capire con le sue parole recenti) che la Bce stessa non potrà in eterno continuare a sostenere i BTp con i suoi interventi. L'ammontare riacquistato di bond italiani e spagnoli sta difatti diminuendo settimana dopo settimana (22 miliardi di euro la prima, 14,3 e 6,6 miliardi le due seguenti) e con questo anche i benefici sui rendimenti dei titoli.

Ma è anche altrettanto evidente che a influire sulla tenuta dei delicati equilibri ricostruiti a fatica dopo la bufera dei primi giorni di agosto saranno soprattutto le prossime decisioni del Governo. Una manovra che mirasse soltanto a tamponare nel breve termine l'emergenza sul debito piuttosto che a creare misure strutturali credibili per ridare smalto a una crescita di per sé ormai asfittica o, peggio ancora, un lungo periodo di schermaglie attorno alle misure da adottare finirebbe per creare pericolose incertezze negli operatori.

E in un mercato che non vede probabilmente l'ora di cominciare a testare la volontà di Francoforte di difendere a tutti i costi la soglia del 5% di rendimento per i Btp non sarebbe certo la mossa più opportuna.

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