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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2011 alle ore 08:04.
Un giorno di rialzo ieri in Borsa. Dopo, però, una serie di ribassi che ha portato il radar di Piazza Affari a «segnalare», di nuovo, i minimi da marzo 2009. Un calo che paradossalmente ha indotto diversi, forse con troppa sicumera, a ipotizzare: «Su simili livelli assisteremo a rimbalzi da iper-venduto». Un'affermazione «difficile».
Certo, tutto può essere. E tuttavia, la visibilità sui listini è ridotta. La volatilità resta elevata e, nell'Eurolandia malata da debiti sovrani, i fondamentali sono deboli. Che dire, per esempio, delle valutazioni sulle banche, vero market-mover del listino milanese? Qui potrebbe persistere la «value trap». Cioè, nonostante questi titoli siano a sconto sul valore di libro, il mercato potrebbe insistere nel venderli, considerando i problemi strutturali dell'Italia (l'alto debito pubblico e la bassa crescita) non di immediata soluzione.
Risultato? I prezzi degli istituti di credito, seppure sottovalutati (e potenzialmente un'occasione), rimangono schiacciati in fondo al listino. John Maynard Keynes, del resto, amava sottolinearlo: non rileva individuare la più «bella» Miss che partecipa al concorso; bensì quella che di più «piace» alla giuria. Solo che, nell'età dell'incertezza delle Borse, la giuria (il mercato), drogata soprattutto dalla liquidità balza all'insù e all'ingiù.
E, alla fine, non è di facile lettura. Tanto che adesso diversi esperti affidano, o integrano, le loro dotte interpretazioni con «scienze» quali l'analisi tecnica. Non solo perché, in un simile contesto, perdono di rilevanza i fondamentali: si vende, o raramente si compra, guardando meno ai bilanci, ai profitti e alle stime sui medesimi. Ma anche, e soprattutto, perché l'espansione stessa dei sistemi automatici di trading spinge l'operatività basata su supporti e resistenze. I software di gestione, infatti, sono quasi sempre tarati sui livelli individuati dall'analisi tecnica che, così, diventa essenziale. Quindi, proprio a fronte di questo scenario, prestare l'orecchio, con le dovute cautele, a ciò che dicono i «graficisti» può tornare utile. Può essere interessante rilevare che il consensus, sull'analisi tecnica dello spread tra il BTp e il T-Bund, individua un importante livello a quota 246 punti base.
Cioè, quello è il valore del differenziale che può fare da spartiacque tra uno scenario più (o meno) positivo per le banche italiane. Com'è noto più sale lo spread e più le quotazioni dei titoli di stato italiani, in generale, scendono. Giocoforza, gli istituti di credito devono scontare in bilancio le possibile svalutazioni dei governativi in loro possesso. Una situazione che, ovviamente, induce il mercato a vendere gli istituti di credito. Al contrario, se il differenziale dovesse scendere al di sotto di quel valore la pressione sulle banche si ridurrebbe. La possibile conseguenza immediata? Il rally del Ftse Mib spinto dai numerosi (forse troppi) bancari presenti nel paniere. Potrebbe obiettarsi: si tratta di un'eccessiva semplificazione. Forse. Tuttavia, un esercizio grafico è illuminante: il confronto tra l'andamento dello spread tra BTp e T-Bund con quello Ftse Bank italiano. Ebbene, cosa salta fuori? Che il paniere degli istituti di credito quotati ha accelerato al ribasso proprio quando il differenziale è andato oltre 246 punti base. Potenza, insomma, dell'analisi tecnica e dei «graficisti».
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