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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2011 alle ore 19:13.

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È una questione di cultura. In Italia, l'idea di avere a fianco un consulente che ci aiuti nelle scelte di investimento non è ancora diffusa. Meglio lo sportellista che si conosce da tanto tempo ed è una persona affidabile. Nulla da dire sulla buona reputazione dello sportellista, ma questa non sempre corrisponde alla capacità di soddisfare le esigenze del cliente, soprattutto nelle fasi di difficoltà dei mercati, quando la tendenza prevalente è quella di seguire l'emotività più che tenere fede alle scelte iniziali. E se queste scelte non vengono effettuate con la giusta convinzione e supportate dalla necessaria competenza anche dopo l'acquisto, sbagliare non è poi così difficile. I promotori finanziari offrono un'assistenza maggiore alla clientela, ma lavorano comunque per una rete e non sono dunque indipendenti.

Ma cosa succede all'estero nei paesi più evoluti dal punto di vista finanziario? «Nel 1987 l'Inghilterra adottò una regolamentazione tesa a distinguere la consulenza finanziaria indipendente rispetto alla consulenza offerta in rappresentanza di un intermediario – spiega Giannina Puddu, presidente di Assofinance –. Da allora, la regolamentazione ha subìto più rivisitazioni e nel marzo 2010 la Financial services authority (Fsa) ha pubblicato la Retail distribution review finale prevedendone l'attuazione entro il 1 gennaio 2013. Il cuore del dettato sta nel divieto di tutte le commissioni e di tutti gli incentivi per le transazioni finanziarie. La posizione della Fsa si basa sui dati di mercato che rivelano quanto il conflitto di interesse, in finanza, possa essere ingovernabile e devastante».

Il provvedimento del legislatore inglese riflette la cultura finanziaria del suo popolo che pare consulti (nel 54% dei casi) il proprio consulente finanziario indipendente prima di effettuare un investimento.
In Italia, invece, la tendenza dei risparmiatori è quella, appunto, di recarsi in banca e chiedere un consiglio. «È un'abitudine che bisogna perdere – continua Puddu – perché si basa su un'aspettativa sbagliata in quanto presuppone che una fabbrica o un distributore di prodotti e servizi finanziari possa essere, al contempo, il "consulente" che tutela il cliente-risparmiatore. In realtà, si tratta di mestieri diversi e l'esercizio di ogni mestiere risponde a un padrone. Il risparmiatore non paga direttamente il bancario, non paga il promotore e, pertanto, come può aspettarsi che lavori per lui?».

Puddu sottolinea che invece la consulenza si paga a parte, in modo trasparente e con la pretesa di un servizio libero da ogni conflitto di interesse. In Italia, comunque, una fetta di risparmiatori che utilizza la consulenza indipendente c'è, anche se è ancora contenuta; sono investitori con un elevato grado di scolarizzazione e una buona disponibilità finanziaria. «In genere sono persone che hanno perso molti soldi – spiega Puddu – e che sono profondamente insoddisfatte dei consigli ricevuti dai bancari».

I consulenti finanziari indipendenti hanno un loro albo, che però non sarà attivo fintanto che non arriveranno i finanziamenti stanziati dal ministero dell'Economia per la nascita dell'Organismo di gestione (costo stimato in 1,5/2 milioni di euro). «Purtroppo però – continua Puddu –, il ministro Tremonti respinge ogni nuova spesa. Peccato, perché la tutela del risparmio porterebbe molti vantaggi economici al paese».

Da segnalare che i consulenti indipendenti sono riconoscibili in quanto associati a Nafop e Assofinance che sono, in Italia, le associazioni di categoria più rappresentative.

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