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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2011 alle ore 06:40.
Anche a voler essere ottimisti, ci vorranno degli anni prima che la Borsa restituisca a molte aziende il loro giusto valore. La crisi di Piazza Affari e delle altre grandi Borse mondiali ha infatti portato - molto spesso indiscriminatamente - la capitalizzazione di banche e imprese a livelli talmente bassi da trasformarle quasi in «penny stocks», cioè titoli che si vendono e si comprano con pochi centesimi. Basta parlare con un trader o con un banchiere di investimento per averne conferma: se non fosse per le incertezze che ancora pesano sul futuro dell'euro e sulla solvibilità di alcuni Paesi, i valori attuali delle Borse e delle aziende quotate rappresenterebbero un'occasione di acquisto da non perdere per nessun motivo. Ma se la prudenza è il primo dovere del piccolo risparmiatore, una buona dose di coraggio deve essere parte integrante del dna di un manager o di un imprenditore: per chi gestisce o controlla un'azienda quotata, comprare nei momenti di rialzo è una sfida, acquistare nelle fasi di forte ribasso quasi un dovere. In America, i Ceo delle grandi corporations di Wall Street stanno sostenendo la fiducia di dipendenti e azionisti comprando migliaia di azioni delle aziende che guidano. Lo stesso avviene a Londra, Francoforte e Parigi, mercati dove tra l'altro le imprese nazionali hanno un consistente azionariato dei dipendenti. E in Italia? Casi come quello della Bpm, banca paralizzata dai veti incrociati dei soci-dipendenti, fanno riconsiderare i vantaggi della compartecipazione azionaria, ma il sostegno che manager e imprenditori stanno dando alle loro aziende non ha niente da invidiare a quello di altri Paesi. Lo dimostrano le operazioni di internal dealing, la compravendita di titoli da parte di manager e soci) che stanno letteralmente esplodendo sui tabulati di Piazza Affari: ogni settimana, sono centinaia le segnalazioni di acquisto titoli operate dai vertici di banche e imprese, con motivazioni non certamente speculative. I prezzi bassi potrebbero restare tali ancora a lungo, senza contare il rischio di una patrimoniale possibile in arrivo..,.
Comprare titoli delle aziende italiane è dunque una buona azione in tutti i sensi, come stanno dimostrando i nostri top manager e i grandi imprenditori. Ieri è stata la volta di Francesco Gaetano Caltagirone, che ha annunciato l'acquisto dell'1% dell'Acea, una utility che come tante altre è sotto attacco del mercato. Nel pieno della bufera di Borsa, Caltagirone aveva fatto altrettanto con Vianini e Cementir, due aziende di punta del suo gruppo industriale italiano. Lo stesso ha fatto Alberto Bombassei con la Brembo, gioiello meccanico nazionale, o anche Diego Della Valle con Mediobanca e Tod's, aziende di due mondi diversi ma che rappresentano valori di italianità riconosciuti anche all'estero. E poi ci sono i manager: i loro acquisti rappresentano un segnale importante per i dipendenti e i piccoli azionisti. Ci sono i manager della nuova generazione, come il presidente dell'Eni Giuseppe Recchi, o quelli di lungo corso come Corrado Passera, che da quando è amministratore delegato di Intesa Sanpaolo ha solo cmprato azioni della banca senza mai venderne nemmeno una. Questa estate, è stato lo stesso Passera a rivelare che le azioni di Intesa erano state comprate anche dai due direttori generali Marco Morelli e Gaetano Micciché. L'elenco potrebbe continuare con Paolo Scaroni, Fulvio Conti, Giuseppe Orsi e tanti altri: l'internal dealing è davvero troppo lungo. (A.Pl.)
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