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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2011 alle ore 08:52.

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Cosa si nasconde dietro a tanta generosità? Non capita tutti gli anni, anzi, che la monarchia saudita investa 43 miliardi di dollari a favore delle fasce più povere e delle organizzazioni religiose a lei avverse.

Né è frequente che il vicino Kuwait prometta generi alimentari gratis per un anno, che i dipendenti pubblici in Algeria vedano i loro stipendi salire del 34%, o che il piccolo Qatar crei un esercito di nuovi impiegati, aumentando anche le già ricche pensioni.

Non è per un'improvvisa presa di coscienza, per il desiderio di porre rimedio alle gravi diseguaglianze sociali. Piuttosto si tratta di una questione di sopravvivenza: i capi di Stato e i longevi monarchi dei Paesi arabi dell'Opec guardano con crescente preoccupazione all'evolversi della primavera araba. E sono disposti a tutto, o quasi, pur di strappare il consenso delle masse. L'effetto domino fa paura. E se accadesse anche a noi? sembrano domandarsi.

Al contrario dei Paesi travolti dalle rivolte - Tunisia, Egitto, Siria e Yemen - dalla loro parte hanno un argomento convincente: un fiume di petrodollari con cui placare il malcontento popolare attraverso un programma di "welfare all'araba". I 12 Paesi membri dell'Opec ricorderanno il 2011 come l'anno delle vacche grasse; per la prima volta dal 1960 - precisa un rapporto del Dipartimento Usa dell'energia - il Cartello ricaverà dall'export di greggio più di mille miliardi di dollari. Non arrivò a tanto nel 1974, durante il primo shock petrolifero, e nemmeno nel 1979, dopo il secondo. Sono solo stime. Ma il prezzo del paniere dei greggi Opec, per la prima volta sopra i 100 dollari al barile da sette mesi, è una realtà.

Distintisi per la caccia grossa in grandi acquisizioni all'estero - una delle tante operazioni fu l'acquisto di corpose quote della Borsa di Londra: a oggi la Borsa di Dubai ne detiene il 21% e il Qatar il 15% - i Governi arabi dell'Opec stanno cercando, grazie anche ai loro fondi sovrani, di spendere sul fronte interno. Risultato: rispetto al 2010 i Paesi del Golfo sborseranno 150 miliardi di dollari in più per spese sociali, riducendo le attività all'estero. In un periodo in cui l'incubo degli occidentali è il debito pubblico, e ci si ingegna per tagliare le spese pubbliche, nei Paesi Opec accade il contrario; nove membri su 12 hanno aumentato i budget.

Per colmare il gap provocato dall'interruzione della produzione libica, l'Arabia Saudita, primo esportatore mondiale, ha aumentato la sua produzione portandola a quasi 10 milioni di barili al giorno. Risultato: se nel 2010 Riad aveva ricavato dall'export energetico 198 miliardi di dollari, segnando un aumento del 44% sul 2009, il 2011 si chiuderà con un altro deciso aumento. Eppure, come in altri Stati Opec, l'aumento dei ricavi si è tradotto in un boom senza benessere, che ha escluso una buona parte dei 25 milioni di sauditi. Riad è corsa subito ai ripari, finanziando la costruzione di migliaia di alloggi, e annunciando con un decreto reale la creazione di 60mila nuovi posti di lavoro presso il ministero degli Interni. E per ingraziarsi quelle organizzazioni islamiche molto critiche verso la monarchia, il ministero per gli Affari islamici e la Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, si sono viste attribuire 267 milioni di dollari per le loro campagne. A patto che rinunciassero a spingere i cittadini in piazza.

Anche il vicino Kuwait (+33% di ricavi energetici nel 2010) non è rimasto a guardare. Già in gennaio aveva promesso un una tantum di 3.700 dollari ai suoi cittadini e la distribuzione di alimenti gratuiti per 13 mesi per tenere a bada le manifestazioni. Ma chi dispone di più fondi è il ricchissimo Qatar, che si appresta a divenire lo Stato con il Pil pro-capite più alto al mondo e che si è contraddistinto per le sue massicce acquisizioni all'estero: all'inizio di settembre l'emiro Tamim al-Thani ha deliberato l'esborso di 8,2 miliardi di dollari destinati ad aumentare i salari dei funzionari pubblici e le pensioni. Vicina della Libia, con cui divide un lungo confine, l'Algeria era ricorsa alla forza per sopprimere le manifestazioni scoppiate in febbraio. Da allora il Governo ha approvato un aumento del 25% del budget, destinandolo agli aumenti dei salariali e dei sussidi pubblici.

Finora il welfare arabo ha funzionato: finora. Perché non è tutto oro quel che luccica. Quasi i tutti Paesi dell'Opec soffrono della stessa malattia: la petrodipendenza (il greggio rappresenta il 90-95% del valore dell'export). È grazie ai petrodollari che negli ultimi anni hanno potuto rimandare le dolorose ma necessarie riforme strutturali per diversificare l'economia. L'effetto del welfare anti-rivolta non durerà, però, all'infinito. Poi si rischia di essere daccapo. Ma con un problema in più: se l'attuale crisi mondiale dovesse peggiorare, la domanda di petrolio dei Paesi industrializzati comincerebbe a calare.

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