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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2011 alle ore 08:54.

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L'aspetto più inquietante in ciò che sta accadendo all'oro è che si ha la sensazione di assistere a un film già visto.

La prima proiezione risale esattamente a due anni fa. Anche nell'autunno 2008 le quotazioni del lingotto avevano galoppato per mesi senza freni, aggiornando un record dopo l'altro. Poi si erano schiantate, travolte anch'esse nel crollo generale dei mercati finanziari innescato dalla caduta di Lehman Brothers.

Nell'ottobre del 2008 l'oro aveva perso il 18 per cento. In questo mese di settembre ‐ che era iniziato con l'ennesimo primato, sopra 1.920 dollari l'oncia ‐ il metallo è già arretrato di oltre il 10 per cento. Solo nella giornata di ieri c'è stato un ribasso di circa il 6%: al Comex le quotazioni sono venute giù di un centinaio di dollari, terminando la seduta a 1.637,50 $/oncia. A New York come a Londra si è però scesi addirittura sotto 1.630 $ e gli analisti tecnici avvertono che facilmente nei prossimi giorni si potrà arrivare a quota 1.500 dollari.

All'argento intanto va ancora peggio: il metallo, fino a pochi giorni fa superstar delle materie prime in termini di performance, sta soffrendo in modo particolare il suo essere contemporaneamente prezioso e industriale. Ieri, complice un mercato piuttosto piccolo e dunque più soggetto alla volatilità, ha perso uno stratosferico 17,8% al Comex, il ribasso giornaliero più forte dal 1987, chiudendo appena sopra 30 $/oncia. Poco più di sei mesi fa, era arrivato a sfiorare 50 $ e nel mese di settembre si era comunque mantenuto quasi sempre sopra 40 dollari.

Quando non si sa più a che santo votarsi, per fare cassa si vendono i gioielli di famiglia. Del resto le azioni, ancora più liquide dell'oro, sono già state vendute a palate: questa settimana le Borse di tutto il mondo hanno perso oltre 3.400 miliardi di dollari. E da un paio di giorni la caccia alla liquidità ‐ liquidità in dollari ‐ sembra essersi scatenata con una forza paragonabile a quella di fine 2008.

A osservare le materie prime, i presagi di recessione ormai non si contano. Dopo il tonfo di giovedì, intervenuto su mercati già da qualche giorno inclini ad indebolirsi, ieri è stata un'altra giornata campale, soprattutto per i metalli industriali, finiti ai minimi dall'estate dell'anno scorso al London Metal Exchange (Lme). Il rame, in particolare, è precipitato sotto 7.300 dollari per tonnellata, perdendo oltre il 10% in due giorni, ed è ormai lontano di quasi il 30% dal picco storico che aveva raggiunto in febbraio. Brutto segno. Il metallo ‐ uno dei primi materiali di cui l'industria si rifornisce quando l'attività accelera ‐ è infatti considerato un ottimo anticipatore delle variazioni del ciclo economico: gli anglosassoni lo chiamano «Dr Copper», perché come un medico è in grado di decifrare dai primi sintomi le malattie destinate ad affliggere l'economia.

Anche il petrolio continua a calare di prezzo, anche se non in misura altrettanto drammatica. Il Brent ha chiuso ieri a 103,97 dollari al barile (-1,4%), il minimo da inizio agosto, mentre il Wti è arretrato dello 0,8% a 79,85 dollari. Fatta eccezione per la seduta del 9 agosto scorso, era da ottobre 2010 che il greggio statunitense non costava meno di 80 dollari.
Restano nel mirino delle vendite, infine, anche i prodotti agricoli. Ma la tenuta delle quotazioni è po' più salda, rispetto a quella dei metalli. E ieri c'è stato addirittura qualche rimbalzo: +2,4% per il cotone a New York, +1,1% per il grano a Chicago.

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