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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2011 alle ore 08:06.

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Bruxelles. Il tema della ricapitalizzazione delle banche in Europa è ormai sul tavolo, complice anche la drammatica vicenda di Dexia, sull'orlo del fallimento. La questione non è solo finanziaria o economica. I governi sono pienamente consapevoli che la scelta è politica, tra semplice coordinamento e maggiore integrazione.

In visita ieri a Bruxelles, il cancelliere tedesco Angela Merkel si è espresso chiaramente a favore di una ricapitalizzazione delle banche. «Se si giunge alla conclusione che le banche non sono sufficientemente capitalizzate è giustificato allora che si proceda in questo senso, tenuto conto della situazione sui mercati finanziari».

La signora Merkel ha messo l'accento sulla necessità di individuare i criteri da utilizzare. «Il Governo tedesco - ha assicurato - è pronto a effettuare una tale ricapitalizzazione, se necessaria». Notando l'andamento negativo delle Borse, il cancelliere ha sottolineato che il tempo è poco e che vi è urgenza di agire rapidamente.

La presa di posizione è giunta dopo che ieri parlando al Financial Times il commissario agli affari economici Olli Rehn ha parlato di «una visione sempre più condivisa secondo la quale abbiamo bisogno di un approccio coordinato e concertato in Europa». L'uscita ha contribuito a rassicurare i mercati, almeno ieri mattina.

Il momento è delicatissimo. Il circolo vizioso tra crisi debitoria e bilanci bancari sta mettendo a dura prova il sistema bancario della zona euro e la stessa solidità dell'Unione monetaria. Il timore dell'establishment è che il caso Dexia, in gravissima difficoltà finanziaria, possa essere la punta di un nuovo iceberg.

Consiglio e Commissione stanno lavorando a un piano per effettuare una ricapitalizzazione delle banche, anche in vista di probabili maggiori perdite sui titoli di Stato greci rispetto al 21% deciso in luglio, ma il lavoro appare ancora in una fase preliminare. Soprattutto bisogna decidere se l'operazione deve avvenire su base nazionale o piuttosto attraverso l'Efsf, che secondo l'accordo del 21 luglio ha proprio la prerogativa di aiutare gli istituti di credito.

Scegliere una strada piuttosto che l'altra è una decisione politicamente significativa. La prima opzione si tradurrebbe in tante azioni nazionali coordinate ma indipendenti; la seconda in un'azione comune nella quale l'Europa si presenterebbe unita dinanzi ai mercati e al mondo. Ieri era ancora presto per capire quale strada verrà percorsa.

A questo proposito la signora Merkel ha tratteggiato uno primo possibile scenario. Il cancelliere privilegia la ricapitalizzazione attraverso fondi privati. Se questi mancassero, i governi potrebbero aiutare, ha detto ieri. «Se poi il singolo Paese non ci riuscisse e la stabilità dell'euro fosse a rischio» allora potrebbe intervenire l'Efsf.

Curiosamente, mentre nel 2008, la Germania - che ieri ha ribadito di essere pronta a cambiare i trattati pur di migliorare la governance della zona euro - trascinava i piedi quando si trattava di aiutare l'economia o il sistema bancario, la Francia invece premeva. Oggi la situazione si è invertita. Berlino è pronta a ricapitalizzare, la Francia al contrario frena.
Il governo neogollista di François Fillon teme di mettere in cattiva luce le proprie banche o di prestare il fianco alle critiche dell'opposizione di centro-sinistra, otto mesi dalle prossime elezioni presidenziali. In questo senso, un approccio europeo, attraverso l'Efsf, è probabilmente visto con favore dalla Francia.

Il Fondo monetario internazionale, che ieri è intervenuto sulla questione, chiedendo all'Europa di agire rapidamente per evitare il peggio, ha spiegato proprio qui a Bruxelles per bocca di un suo dirigente, Antonio Borges, che per ricapitalizzare le banche europee sono necessari tra i 100 e i 200 miliardi di euro.

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