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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2011 alle ore 11:15.

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Il messaggio è chiaro ed era arrivato al Chief Financial Officer (nonché Senior Vice President) di Apple, Peter Oppenheimer, in altre occasioni prima della morte di Steve Jobs: nelle casse della società di Cupertino ci sono miliardi di dollari a sufficienza, oltre 76 per la precisione, per iniziare a distribuire i dividendi agli azionisti. Ora che il capo carismatico della Mela non c'è più, una parte degli investitori non fa mistero dei propri desideri, e cioè monetizzare gli investimenti (decisamente fruttiferi) operati tempo addietro.

La politica di Apple negli ultimi anni è stata però tanto chiara quanto "intransigente" nei confronti di chi, comprese ovviamente società di capital spending di primo piano, ha comprato le sue azioni. Da quando Jobs risollevò la compagnia dal rischio della bancarotta, sia il valore del titolo sui listini che le disponibilità di cassa hanno conosciuto una crescita esponenziale e ininterrotta per arrivare ai livelli di oggi (in cassa oggi ci sono come detto oltre 76 miliardi di dollari, una cifra pressoché doppia rispetto a soli due anni fa). Nonostante le vendite di iPhone e iPad siano andate a gonfie vele, Jobs ha sempre resistito alla richiesta di distribuire i profitti agli azionisti e mantenuto il timone dell'azienda puntato all'ulteriore crescita.

Per farlo, Apple ha utilizzato parte della sua liquidità per strappare ai fornitori di componenti (memorie e pannelli touchscreen in primis) condizioni molto vantaggiose e la conferma era arrivata a inizio gennaio proprio da Oppenheimer, quando annunciò che la società avrebbe speso circa 3,9 miliardi di dollari nei prossimi due anni per anticipare i pagamenti a uno dei partner asiatici e per finanziare simil operazioni in conto capitale. Pressioni degli azionisti a parte, gli analisti sono sostanzialmente d'accordo nel ritenere che la casa di Cupertino debba necessariamente guardare al mercato per far fruttare il suo notevole tesoretto. Microsoft e Google, del resto, hanno finanziato con le risorse di cassa le ultime loro acquisizioni mentre Apple di grandi colpi in tal senso non ne ha fatti (e neppure ha distribuito dividendi come ha fatto invece Cisco Systems quando ha raggiunto il tetto dei 40 miliardi di dollari alla voce "cash and investments").

I numeri finanziari di Apple sono noti: i profitti record del terzo trimeste fiscale, saliti a 7,3 miliardi di dollari, fanno il paio con una capitalizzazione di mercato, nell'ordine dei 350 miliardi di dollari, che è superiore di oltre il 60% rispetto a quella di Microsoft e Ibm. Non è invece chiaro quali siano ora le reali intenzioni della compagnia verso l'azionariato, che ritiene ci siano tutti i presupposti per destinare loro una parte dei soldi accumulati in cassa e finalizzati a sostenere le strategie di sviluppo a venire. Fra queste ce n'è una di cui è arrivata notizia nelle ore successive alla scomparsa di Jobs: proprio dall'ex ceo, stando a quanto a scritto il sito specializzato TechCrunch, era sortita una confidenza a un veterano della Silicon Valley secondo cui mille ingegneri della Mela (il 5% della forza lavoro complessiva) sono da tempo impegnati nello sviluppo della nuova generazione di chip A5, il processore dual core che oggi motorizza l'iPad 2 e presto salirà a bordo dell'iPhone 4S. Il suo successore è destinato ad equipaggiare la nuova frontiera di dispositivi post pc-era, uno dei cardini della "pipeline" che Jobs ha lasciato in eredità ad Apple.

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