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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2011 alle ore 07:41.

I treasuries statunitensi? Fino a poco tempo fa uno dei porti dove far approdare la liquidità. Un asset finanziario, nell'età dell'incertezza delle Borse, molto richiesto sui mercati internazionali. Tanto che lo stesso sfregio di S&P, con la mostrina della tripla «A» strappata a Washington, era stato archiviato senza troppi dolori. Dall'ultima settimana di agosto, però, la musica è cambiata. La prova? Basta spulciare nel bilancio della Federal Reserve.

Ebbene, tra le mille tabelle, salta fuori un dato inequivocabile: il deposito di titoli di stato statunitensi, per conto degli operatori stranieri, ha subito un deflusso di circa 70 miliardi di dollari. Cioè, gli investitori esteri stanno vendendo i bond governativi americani. E il trend sembra destinato a continuare. D'altro canto, che lo spartito sul debito a stelle e strisce non fosse più solo quello di un «Inno alla gioia» lo si desume anche da un altro aspetto. Quale? L'andamento della curva dei rendimenti.

L'intera linea, nelle ultime tre settimane, si è spostata verso l'alto: lo yield, escluse le duration più corte, è salito un po' su tutte le scadenze. Una conseguenza, evidentemente, delle vendite sui titoli di stato.
In particolare, balza all'occhio un dato: dal 22 settembre a oggi, il rendimento del trentennale è passato dal 2,78 al 3,22 per cento. Un incremento che stupisce. Proprio dalla fine del mese scorso, infatti, il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha iniziato a ballare il «twist». Cioè, ha dato il «la» allo shopping di tresuries su scadenze lunghe (con la contestuale vendita di quelle più brevi) per ridurne il rendimento e fare scendere gli interessi dei mutui ad esso legato.

Un obiettivo, fin qui, mancato. Anzi, le vendite dei bond hanno messo la sordina al «twist», che si sta trasformando nel rock del rendimento. Un bel problema per «Helicopter» Ben, cui nemmeno il ritorno all'acquisto del debito Usa da parte delle banche commerciali americane (+8,6% in agosto) sembra porre rimedio. Evidentemente, pesano anche i flussi in uscita degli stranieri. Già, gli investitori esteri. Il loro recente comportamento, giocoforza, induce una domanda: quali le motivazioni di questa strategia?
Diversi esperti sottolineano che, di fronte al perdurare dei problemi del debito in Eurolandia e al possibile contagio degli Usa, gli istituzionali vogliono più liquidità. Insomma, «cash is king». Altri al contrario, proprio a fronte del recente ritorno di fiamma per il rischio, sottolineano che si vende il reddito fisso al fine di investire a Wall Strett o nelle piazze del Vecchio continente

C'è però, infine, una terza interpretazione. Un po' più sottile e maliziosa. Quale? Quella che si fa forte delle «coincidenze» sospette e ricorda un duplice elemento: da una parte, le sempre maggiori tensioni commerciali tra America e Cina (grande creditore degli Usa) che, negli ultimi giorni, si sono sfidati sulla legge di denuncia del presunte manipolazioni sul cambio volute da Pechino; dall'altra, il raffreddamento, imposto dalla Fed, sul fronte dei prestiti in favore delle banche di Eurolandia. Un cocktail di attriti che potrebbe aver indotto qualche mano straniera a vendere i treasuries. Magari per far rallentare il «twist» di Bernake. Fantafinanza? I dati della Federal reserve non dicono chi vende e perché. Tuttavia, la coincidenza temporale è po' sospetta. E poi, si sa, a pensar male si fa peccato ma, spesso, ci si azzecca.

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