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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2011 alle ore 19:26.

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Il progetto ideato dalla Barclays bank di Londra si chiamava «Brontos», da brontosauro. E di dimensioni ragguardevoli, circa 4 miliardi, sarebbe l'imponibile che UniCredit avrebbe occultato al fisco italiano, partecipandovi. Per lo meno questa è l'ipotesi investigativa su cui, ormai da mesi, stanno lavorando gli uomini del Nucleo milanese di Polizia tributaria e il sostituto procuratore Alfredo Robledo, lo stesso che indaga sugli strumenti derivati sottoscritti dal Comune di Milano. Un'indagine condotta sottotraccia e con estrema prudenza anche per la delicatezza dell'argomento che non coinvolgerebbe Intesa San Paolo, a dispetto delle indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi.

Nonostante i guanti bianchi della Procura, nelle scorse settimane vi sono state numerose richieste di esibizione di documenti, seguite anche da alcune perquisizioni nella sede di UniCredit, ma anche in quella della branch milanese di Barclays. Della questione Il Sole-24Ore si era già occupato il 19 aprile scorso, svelando i dettagli tecnici di «Brontos». Vediamoli. Una controllata di Barclays (la Bar Sub) crea una Srl lussemburghese (LuxParent) che ne genera a sua volta un'altra (la LuxSub). Queste procedono a emettere dei Ppi. Che cosa sono? In inglese si chiamano Profit partecipating instruments e sono titoli che, sotto il profilo tributario sono trattati in modo differente in Italia e in Lussemburgo. In Italia sono considerati alla stregua di azioni e loro frutti (i dividendi) godono di un trattamento fiscale favorevole, mentre nel Granducato sono assimilabili a titoli di debito e tassati più pesantemente. Secondo le prime ricostruzioni, tra la branch italiana di Barclays, che in prima battuta acquistava i Ppi, e l'area finanza di UniCredit si innescava un meccanismo di compravendita (curiosamente in lire turche) che aveva per oggetto proprio questi Ppi.

Semplificando Barclays Italia li cedeva a pronti (transazione immediata) a UniCredit e poi li riacquistava a termine, a un prezzo nettamente inferiore. La differenza di prezzo, a svantaggio di UniCredit, generava un costo pienamente deducibile in capo alla banca italiana. Che poteva anche contare sul miglior trattamento fiscale dei Ppi stessi. Non bastava. Proprio sulla lira turca, valuta particolarmente soggetta a oscillazioni sui mercati, si costruivano delle operazioni di currency swap (operazioni a termine su valute) particolarmente rischiose, che avrebbero generato ulteriori minusvalenze in capo a UniCredit. Dal canto suo la Banca di Piazza Cordusio ha comunicato la propria posizione in una nota in cui si precisa che la banca «come di consueto fornirà la massima collaborazione ad ogni Autorità. Siamo confidenti sulla correttezza dell'operato della banca».

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