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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2011 alle ore 06:43.

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La società LuxSub, creata da Barclays, emette titoli in lire turche. Non comuni azioni o obbligazioni – troppo banali –, ma «Profit participation instruments».

«Ppi», in sigla. Questi titoli sono oggetto di operazioni di pronti contro termine tra Barclays Milano, che li acquista da LuxSub, e UniCredit. Se non avete capito nulla, se vi siete persi, se non avete mai sentito nominare i «Ppi», non preoccupatevi: l'operazione è stata probabilmente creata proprio per non far capire nulla. Per far perdere le tracce.
Ironia della sorte, questa operazione è stata chiamata Brontos, come i dinosauri. Ma di preistoria non c'è molto: anzi, «Brontos» è realizzata con i più moderni ritrovati della finanza. Altra ironia della sorte, le operazioni «Brontos» avevano a suo tempo avuto il parere favorevole – su richiesta di UniCredit – dello studio Romagnoli, Vitale, Piccardi: studio creato dall'attuale ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

Per capire la vicenda bisogna bisogna perdersi nei meandri dell'operazione Barclays-UniCredit. Tutto inizia in Lussemburgo, dove viene costituita LuxSub. Questa emette i titoli atipici, i «Ppi» in lire turche. Perché? Perché in Turchia i tassi sono più elevati (ai tempi erano al 20% contro il 4% europeo) e questo permette ai titoli di pagare più interessi. Così i «Ppi» vengono venduti da LuxSub alla filiale milanese di Barclays. Con i proventi di questa vendita, LuxSub apre un deposito interbancario presso Barclays a Londra. Così LuxSub con una mano incassa gli interessi da questo deposito e con l'altra li gira a Barclays Milano, che ha comprato i titoli «Ppi». Tante società, tante stranezze, per cosa? Per passare interessi da Londra a Milano.

È qui che entra in gioco UniCredit, che effettua con Barclays Milano un contratto di pronti contro termine: acquista i titoli «Ppi» e si impegna a restituirli a un prezzo prefissato dopo un determinato lasso di tempo. Tutto questo non produce profitti. Non produce rischi, perché vengono tutti sterilizzati. Ma un vantaggio lo regala: permette a UniCredit – secondo la Procura – di "camuffare" gli interessi di quello che sarebbe un banale deposito interbancario, in dividendi azionari. E permette a UniCredit, secondo la Procura di Milano, di usufruire di particolari benefici fiscali. Insomma: UniCredit – scrive il Gip – avrebbe così realizzato «una capziosa evasione fiscale».

Una cosa è certa: l'inchiesta su UniCredit può essere considerata "pilota". Se venisse confermata l'evasione fiscale nelle aule di Tribunale – non sarà certo facile data la complessità –, allora la stessa accusa potrà essere estesa anche a tante altre banche e società. Non solo italiane. È per esempio noto – lo scrisse tempo fa il «Sunday Times» – che Rbs avrebbe sottratto al fisco inglese e Usa 500 milioni di sterline cinque anni fa. Tutto il mondo è paese. Sarebbe curioso se, dopo che tanti Stati hanno salvato le banche, si scoprisse che le banche li hanno anche frodati.

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