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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 09:25.

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Sotto la dicitura banche nel listino di Piazza Affari andrebbe apposta la scritta «maneggiare con cura». Molta cura. Del resto basta guardare le rapidissime inversioni di tendenza delle quotazioni per accorgersene. Chi fosse salito sul carro di UniCredit solo una settimana fa con il prezzo dell'azione a superare la soglia dell'euro, ieri avrebbe contato una perdita del 15%. Roba da far tremare le vene ai polsi. E UniCredit è solo un esempio.

Sorte analoga per l'investitore di Intesa che in una settimana ha collezionato un sonoro -14%. Certo c'è anche chi ha, per ora, azzeccato il grande rimbalzo delle banche.

Dal 12 settembre scorso il titolo di Intesa ha prodotto una performance positiva del 38%. Mettiamo in fila questi dati. Una perdita del 14% in una settimana e un guadagno del 39% in un mese. Quasi da schizofrenia dei mercati. Che vuol dire tutto ciò? Ci sarete arrivati da soli, ovviamente. Qui non servono le spiegazioni dei guru dei mercati, dei gestori professionali o degli analisti.

È purtroppo ormai solo una questione di tempo e fortuna. Di azzeccare cioè il momento giusto per entrare e soprattutto di fermarsi sui titoli il minor tempo possibile, pena perdere in un lampo guadagni che appaiono strepitosi. È così, e si chiama volatilità. Non da ieri, ma ormai da mesi. E la volatilità così estrema, come molti hanno imparato sulla propria pelle, è nemica di ogni logica e buon senso. Quando i mercati sono così nervosi e instabili, meglio evitare prese di posizione da investitore di lungo corso. Vince chi sa sfruttare al meglio il mordi e fuggi.

E mai come in questi casi è vero il motto «vendi, pentiti, ma vendi». Quando su un investimento di poco più di un mese si realizzano guadagni a doppia cifra, meglio vendere e incassare. Del resto ritorni veloci, a doppia cifra, nel mondo della crisi dei debiti sovrani sono quasi una manna, dato che ci vogliono anni su di un investimento obbligazionario per ottenere gli stessi risultati.

E qui non c'entra la buona o cattiva salute delle banche. Gli analisti, tutti, dicono (e a ragione) che i valori delle banche italiane sono ai loro minimi storici. Tutto vero. Quando una banca, come nel caso della media del settore in Italia, vale meno della metà del solo patrimonio netto, vale poco. Attenzione però. Viene prezzata così poco dal mercato anche perché la sua redditività è oggi la metà di quella dei momenti d'oro. Il ritorno medio sul capitale è oggi più vicino al 5% che non al 10% e le prospettive non volgono certo al meglio. Gli utili quest'anno e probabilmente anche nel 2012 dovrebbero decelerare: peseranno sugli istituti sia la frenata dei margini che le nuove svalutazioni su quei crediti di dubbia esigibilità che la crisi economica ha prodotto negli anni scorsi e che ora le banche devono smaltire. E quelle rettifiche finiranno per impattare sull'ultima riga di bilancio producendo minori utili di quelli attesi all'inizio di quest'anno. E poi sul tappeto resta il tema che il mercato vive con più ansia.

Cosa sarà di quegli oltre 200 miliardi di titoli di Stato che hanno imbottito negli ultimi anni i portafogli degli istituti di credito? Se l'Italia entrerà in una spirale difficile allora quei titoli varranno meno rispetto ai valori d'acquisto con perdite impreviste nei bilanci.

Ma l'analisi sui punti di debolezza e di forza (come il capitale che è più abbondante per le italiane che non per molti big del Nord Europa) conta poco. Quel che determina oggi e detterà in futuro la direzione borsistica delle banche è tutta esterna ai loro bilanci. Se la crisi del debito in Europa andrà ad attenuarsi, allora c'è da aspettarsi un forte recupero delle banche in Borsa. Di tutte ovviamente, non solo le italiane. Sono stati i titoli più sacrificati e il riscatto partirà da lì. Se invece si traccheggerà, come accaduto finora, per le banche sarà sempre e solo volatilità. Come fino a ieri.

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