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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 23:18.

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Un sardonico adagio circolante tra i più convinti europeisti recita che, per rendersi conto se l'integrazione europea sta realmente avanzando, basta vedere se gli inglesi sono scontenti. Se sono arrabbiati, vuol dire che si stanno facendo, o tentando di fare, reali passi avanti. Così fu con Margareth Thatcher infuriata, messa all'angolo al vertice dell'ottobre '90 a Roma da Giulio Andreotti, al Consiglio che avrebbe aperto la strada al Trattato di Maastricht e alla moneta unica; o con Tony Blair, irritato quando nel 2000 a Feira, in Portogallo, i partner europei volevano convincerlo a far avanzare la cooperazione fiscale. In quest'ottica, è forse un buon segno il malumore del premier britannico David Cameron per il maggiore peso istituzionale che si vuole dare all'Eurogruppo e per la richiesta tedesca di modificare i Trattati europei al fine di migliorare la governace economica dell'area euro.

"Dobbiamo salvaguardare l'interesse dei Paesi che vogliono stare al di fuori dell'euro, in particolare riguardo all'integrità del mercato unico a 27" è sbottato Cameron, in tensione con il presidente francese Nicolas Sarkozy, per assicurare che, al vertice di mercoledì prossimo, sia tenuto in debito conto il parere dei Paesi fuori dall'eurozona sull'operazione di salvataggio della Grecia. Anche polacchi e svedesi hanno insistito perché sia l'Ecofin a 27 a precedere la riunione dei leader dei 17 Paesi dell'Eurozona il 26 ottobre, e non viceversa, ed espresso qualche malumore per la formalizzazione di Herman Van Rompuy presidente dell'Eurogruppo, che dà ulteriore status ufficiale a un organo che un tempo era solo informale. Prorio le obiezioni di Gran Bretagna, Polonia, Svezia e altri Paesi fuori dall'euro hanno ritardato per più di un'ora le due attesissime conferenze stampa conclusive del vertice, quella congiunta Merkel-Sarkozy e quella, tradizionale, di Van Rompuy col presidente della Commissione José Manuel Barroso, e hanno portato a una modifica delle conclusioni del summit, rispetto alla bozza circolata precedentemente.

L'accordo completo sul soccorso alla Grecia e sul fondo salva-Stati Ue (Efsf) non c'è ancora. Qualche giorno in più sarà necessario, anche per permettere alla cancelliera tedesca Angela Merkel di conferire con il Budestag. C'è però convergenza sull'esigenza di ricapitalizzare con 108 miliardi le grandi banche europee, di far accettare perdite alle banche creditrici della Grecia di almeno il 50% e restano sul tavolo due opzioni sull'Efsf (in un caso agirebbe da assicuratore per quote parziale di emissioni di Paesi sovrani, nell'altro agirebbe attraverso un veicolo esterno speciale o Spv); ma prende quota l'ipotesi che la soluzione finale sarà una combinazione delle due rimaste aperte. L'impietoso giudizio dei mercati e gli impegni presi dagli europei con il G-20 del 3-4 novembre a Cannes non lasciano del resto spazio a ulteriori esitazioni.

a Merkel ha fatto capire che la Germania è pronta a pagare un prezzo per la salvezza dell'euro, ma vuole che si facciano progressi sulla governance dell'area euro e che ci sia maggiore controllo da parte di Bruxelles sui conti pubblici dei Paesi dell'Eurozona. Di questo sviluppo, che condurrà a una maggiore integrazione dell'Eurozona, i politici inglesi, sebbene irati, dovranno farsene una ragione e, per altri motivi, pure gli italiani che dovranno sbrigarsi ad adottare riforme che aiutino il risanamento e stimolino la crescita, se non vorranno veder avanzare l'ombra del commissariamento da parte di Bruxelles.

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