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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 21:14.

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Nessuno, tanto meno il leader di un paese co-fondatore dell'Unione europea, può permettersi di ridicolizzare l'Italia con sorrisini e occhiate ammiccanti. Non può farlo, innanzi tutto, perché così indebolisce la credibilità dell'euro, della moneta comune, prima ancora che quella italiana. E non può farlo perché la credibilità dell'Italia si riafferma proprio in questi giorni negli uomini cui la stessa Europa ha affidato ruoli decisivi nella gestione della crisi. Mario Draghi sarà tra una settimana al vertice della Bce e Vittorio Grilli è stato proprio in questi giorni chiamato a coordinare le trattative per l'hair-cut del debito greco: grandi funzionari di Stato, civil servant, che l'Europa chiede dunque in prestito proprio a quell'Italia che qualcuno vorrebbe deridere.

Detto questo, e ancora di più per questo, c'è una responsabilità della politica italiana, e più specificamente delle forze politiche di governo e del presidente del Consiglio, se l'Italia è oggi in questa situazione. E non ci riferiamo tanto agli scandali, a suon di escort e inchieste giudiziarie, che pure non aiutano a essere stimati nel mondo, ma all'inerzia sulle riforme economiche che ha permesso ai mercati finanziari internazionali di metterci sul banco degli imputati quasi come la Grecia.
Il giorno dopo l'approvazione della manovra d'estate, Il Sole 24 Ore aveva scritto che quelle misure non sarebbero bastate. Da allora l'Unione europea, la Bce, tutte le associazioni del mondo dell'impresa e del lavoro, le istituzioni finanziarie, hanno sollecitato misure aggiuntive sia sul fronte del rigore sia su quello della crescita. La manovra di agosto è stata un'altra occasione persa. E con i rinvii continui sul decreto crescita c'è stata l'ennesima dimostrazione di un Governo e di una maggioranza che non sembrano avere la forza politica e la serenità d'animo per poter varare quelle difficili riforme che sono necessarie.

ono mesi che ripetiamo: innalzamento dell'età pensionabile per liberare risorse per alleggerire il cuneo contributivo, riduzione delle imposte sul lavoro e le imprese anche attraverso la tassazione della ricchezza patrimoniale, liberalizzazioni, dismissioni e così via.
Un menù che può variare, certo. Oggi l'Europa ci ha affidato il suo, che non è poi molto diverso da questo. Quello che conta è che il Governo si prenda finalmente la responsabilità di riforme vere, in grado di stimolare la crescita e di riaffermare il rigore nei conti pubblici. Ora davvero non c'è più tempo. I partner europei ci chiedono segnali prima di un accordo definitivo sulle regole del fondo salvastati. Questo può vuol dire pochi giorni, forse solo qualche decina di ore. Non è una situazione comoda. Ma la responsabilità se siamo arrivati a questo punto è di chi è chiamato finalmente a decidere.

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