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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2011 alle ore 10:13.

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Dall'imposizione di criteri sempre più stringenti al capitale delle banche alla restrizione del credito concesso alla clientela il passo può a volte essere molto breve e le vicende di queste settimane ce lo dimostrano: non siamo ancora probabilmente al temutissimo «credit crunch», ma già siamo arrivati al passo immediatamente precedente, quello in cui crescono in modo vertiginoso i tassi ai quali gli istituti concedono i finanziamenti.

Già lo scorso marzo uno studio di The European House-Ambrosetti ipotizzava un impatto delle regole di Basilea 3 sul costo del credito alle imprese e alle famiglie di 140 punti base. A molti era sembrata eccessivamente pessimista, eppure da allora lo scenario è se possibile peggiorato, perché la crisi richiede da una parte ulteriori ricapitalizzazioni alle banche europee in generale e dall'altra impone (soprattutto agli istituti italiani) costi di raccolta più elevati.

Che sia Basilea 3, come si fa notare nell'articolo a fianco, o piuttosto «l'impatto del rischio sovrano sul funding» che le banche italiane devono fronteggiare, come ha ricordato ieri il Governatore della Banca d'Italia e ormai prossimo presidente Bce Mario Draghi, alle famiglie e alle imprese poco importa: loro si rivolgono alla banca e scoprono che i prezzi per ottenere un finanziamento sono improvvisamente lievitati negli ultimi mesi, sicuramente oltre ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere pensando a un aumento della rischiosità della clientela.

Secondo le rilevazioni del broker Mutuionline, gli spread (cioè il margine applicato dalle banche ai tassi base) sui prestiti immobiliari sono in 4 messi praticamente raddoppiati passando dall'1,36% di giugno al 2,49% di inizio ottobre e per le offerte in filiale il panorama è ancora più preoccupante. Analoga la situazione di un'impresa, che per un ottenere un leasing deve per esempio aggiungere fino al 5% all'Euribor. Ma solo se ha un merito di credito medio-elevato, altrimenti la tariffa è ben più salata e potrebbe di fatto precludere l'accesso al credito.

Il problema, in fondo, è proprio questo: con quei prezzi molte famiglie e aziende potrebbero essere costrette ad alzare bandiera bianca ed è ciò che in parte già accade sui prestiti-casa. Le rilevazioni Crif parlano infatti di un crollo delle richieste del 23% a settembre rispetto all'anno precedente: una ritirata probabilmente dettata in gran parte dal fatto che a queste condizioni non è più conveniente stipulare un mutuo in sostituzione del precedente, ma pur sempre un segnale da non sottovalutare in chiave futura.

Il timore è che di qui a poco, se la situazione non dovesse migliorare, le banche possano rifiutare i clienti più rischiosi, cioè quelli che chiedono un ammontare elevato rispetto al valore dell'abitazione (loan-to-value) o che hanno un rapporto fra rata e reddito rilevante. O che addirittura possano decidere di rendere più difficile l'accesso ai prodotti a più lunga durata, quelli oltre i 20 anni. Il «credit crunch», in questo caso, diventerebbe un'amara realtà.

m.cellino@ilsole24ore.com

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