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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 09:35.

I numeri sono clamorosi, soprattutto se confrontati con le banche oltreconfine. Due esempi su tutti: UniCredit capitalizza poco più della metà di Deutsche Bank, e Mps, con i suoi 4 miliardi, vale appena il 10% della capitalizzazione di Bnp Paribas (42 miliardi). Se poi si guarda ai valori di borsa espressi dalle popolari di piazza Affari le «occasioni» italiane si moltiplicano con valutazioni che in alcuni casi (vedi la Banca Popolare di Milano) non arrivano ai 700 milioni, ma offrono ghiotte occasioni di espansione territoriali in aree che sono tra le più ricche d'Italia.
La domanda, sul mercato, sorge spontanea: che l'Italia del credito sia davvero a rischio scalata? Se la Borsa e la speculazione – si dice – molto presto inizieranno ad esercitarsi su matrimoni oltreconfine, gli esperti del settore e le banche d'affari restano scettici di fronte a tale ipotesi, pur non escludendo colpi di scena e ammettendo che è più probabile che si assista a una nuova stagione di aggregazioni «nazionali» nel mondo delle popolari. Tutti, però, indistintamente ammettono che le attuali valutazioni di borsa, specie se confrontate con competitor francesi e spagnoli, evidenziano differenze fino a qualche anno fa impensabili. Guardando le big, e cioè UniCredit (18 miliardi) e Intesa Sanpaolo (22 miliardi) la capitalizzazione viaggia intorno a circa 20 miliardi, un valore che si confronta con i 55 miliardi degli spagnoli del Santander, i 30 miliardi dei tedeschi di Deutsche Bank e i 42 miliardi dei francesi di Bnp Paribas.
Gli attuali prezzi di borsa delle due banche italiane – sottolineano gli analisti – trattano a sconto rispetto al valore di libro, ma tale andamento non è poi così "paradossale". In realtà, si fa notare, lo sconto attribuito dal mercato è legato – almeno nel caso di UniCredit – soprattutto all'incertezza del numero di azioni che saranno emesse a fronte degli aumenti di capitale ancora in stand by. È noto, infatti, che l'Eba ha chiesto per esempio a UniCredit un buffer di capitale di circa 7 miliardi, mentre Intesa Sanpaolo è al momento adeguatamente patrimonializzata. Dall'altro lato, si fa notare, anche senza considerare gli aumenti di capitale le attuali valutazioni di Borsa scontano anche il fatto che ci si trova in presenza di utili che non remunerano il costo dell'equity. Infine – si aggiunge – c'è il grande rebus sui valori dei titoli di Stato italiani, presenti in quantità massiccia nei bilanci delle banche nazionali.
Detto questo è difficile immaginare un imminente pericolo scalata per i due colossi di piazza Affari, e questo anche ipotizzando (a fronte degli aumenti) una possibile diluizione delle Fondazioni, principali soci di UniCredit (13%) e Intesa Sanpaolo (25%). Altrettanto complesso, si osserva, è il caso del Monte dei Paschi di Siena. La Fondazione Mps detiene il 50,1% del capitale e dunque tecnicamente la banca non è scalabile. È anche vero, però, che l'Eba ha chiesto un aumento di capitale di 3 miliardi e la fondazione di Rocca Salimbeni difficilmente sarà in grado di fare la sua parte. Ma è mai possibile che un gruppo straniero punti su un gruppo come Mps dove dovrebbe convivere con una Fondazione diluita sì, ma comunque presente al 30% del capitale? Senza considerareche Mps cercherà in tutti i modi di evitare una ricapitalizzazione, magari utilizzando strumenti come i contingent convertible o riducendo l'esposizione al rischio Paese.
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