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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2011 alle ore 08:11.

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È opportuno vendere i BoT in portafoglio?
I Buoni ordinari del Tesoro sono titoli a breve termine, con scadenza fino a 12 mesi e senza cedola (il guadagno sta nel fatto che si acquistano a un prezzo inferiore rispetto a quello del rimborso). Per questo le oscillazioni dei loro tassi (e quindi dei loro prezzi) sono piuttosto limitate, anche quando la tensione sul nostro Paese è elevata come nelle ultime settimane. In questo caso il rischio per il risparmiatore risiede nel fatto che il Tesoro italiano non sia i grado di restituire il capitale preso a prestito alla scadenza (cioè, in sostanza, l'Italia dichiari default), un pericolo relativo quando si parla di un arco temporale così limitato. In più, in alcuni casi di default di Paesi sovrani avvenuti nel passato, la ristrutturazione del debito ha riguardato i titoli a medio-lungo termine e non quelli più a breve come appunto i BoT.
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E i BTp?
I Buoni poliennali del Tesoro sono titoli con cedole a tasso fisso con durata medio-lunga. Le oscillazioni dei loro prezzi possono essere significative (e tanto più pronunciate quanto è maggiore la scadenza residua del bond): tanto per fare un esempio, il prezzo di un BTp decennale scende del 7,63% ogni volta che il suo tasso sale di un punto percentuale. Questo significa che chi decide di vendere adesso un titolo obbligazionario deve mettere in conto una significativa perdita in conto capitale (ieri il BTp decennale valeva 90,3, quando prima dell'estate viaggiava a quota 100). Tenerlo nel cassetto aspettando il rimborso alla scadenza potrebbe esporre invece al rischio di un mancato rimborso da parte del Tesoro. Ragionando più in generale, la decisione su un mantenere o meno un BTp in portafoglio deve essere valutata non guardando il singolo strumento ma sulla base della composizione dell'intero portafoglio.
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Sono più sicuri i BoT o i conti deposito?
In una fase in cui gli istituti di credito sono i principali finanziatori del debito pubblico e lo Stato è il primo soggetto a correre in soccorso del sistema finanziario, il grado di rischio del Tesoro e delle banche è strettamente correlato. Dalla loro i conti deposito hanno il vantaggio di ricadere nel fondo interbancario di tutela dei depositi che li garantisce fino a 100mila euro, anche se in caso di difficoltà generali del sistema il funzionamento di uno strumento come il fondo è tutto da verificare.
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Chi ha in portafoglio titoli di Stato greci avrà un rimborso al 100% o al 50%?
L'accordo raggiunto la scorsa settimana a Bruxelles ha stabilito una ristrutturazione del debito greco tale da prevedere una decurtazione del valore delle obbligazioni in mano agli investitori privati del 50%. Per il momento, però, sono state stabilite soltanto le linee guida dell'intervento: non è ancora chiaro come il «taglio» verrà applicato, se varrà per tutti i titoli o se vi saranno differenze in base alle emissioni (verosimilmente riduzioni più elevate per le scadenze maggiori). Non è neanche detto che la misura finale sia di questa entità: i prezzi della maggior parte dei bond quotati scontano «haircut» più elevati e alcune banche (come Bnp-Paribas) hanno provveduto a svalutare il valore dei titoli ellenici in portafoglio del 60%.
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Se per effetto della riforma della previdenza si andrà in pensione più tardi, si percepirà un assegno un po' più alto. Vista la situazione dei mercati, si potrebbe aver meno bisogno della previdenza complementare?
No, perché l'aumento della rendita pensionistica di primo pilastro non è uguale per tutti e in alcuni casi il reddito aggiuntivo derivante dagli anni di lavoro in più non è alto. I sistemi previdenziali a contribuzione definita come quello italiano, infatti, presentano un numero molto ampio di fattori che determinano la rendita: dall'anzianità lavorativa, all'evoluzione del Pil nazionale, al tasso di crescita delle retribuzioni, all'inflazione. Ciò determina differenze anche rilevanti per persone della stessa età: due trentenni, entrambi destinati ad andare in pensione nel 2048 a 67 anni e 4 mesi, otterranno dagli anni di lavoro in più rispettivamente il 5 e il 15% in termini di tasso di sostituzione, ossia il rapporto tra ultimo stipendio e prima rendita pensionistica. È evidente che nel primo caso la necessità di avere una pensione «di scorta» sarà più rilevante.
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