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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 09:31.

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Se ieri le Borse europee sono riuscite a recuperare nel finale la forte perdita accumulata durante la giornata, bisogna ringraziare un dispaccio dell'agenzia Reuters diffuso alle 14.38, ora italiana: in quel momento sui monitor degli operatori lampeggia la notizia che gli Stati dell'Eurozona stanno discutendo dell'ipotesi di abolire il coinvolgimento del settore privato nel meccanismo di salvataggio permanente dell'Eurozona, che dovrebbe entrare in vigore nel 2013.

Per i mercati del Vecchio Continente, duramente provati da un'asta italiana dai rendimenti shock avvenuta in mattinata, è un toccasana improvviso. Per due ragioni: la prima, più tecnica, è che banche e assicurazioni di colpo si ritroverebbero sgravate (o coinvolte in misura inferiore) rispetto a eventuali svalutazioni del debito sovrano. La seconda motivazione, invece, è di respiro più geopolitico: l'uscita di scena dei privati dal fondo di salvataggio permanente (il cosiddetto Meccanismo europeo di stabilità, l'Esm) sarebbe la vittoria dei Paesi periferici europei sulla Germania, l'unico Stato, insieme a Finlandia e Paesi Bassi, ad aver insistito perché le clausole di partecipazione dei privati fossero inserite nell'Esm. E «una Germania che ammorbidisce le sue posizioni - era il ragionamento fatto da diversi operatori ieri - è la conferma che le diplomazie stanno lavorando per modificare il trattato europeo nella direzione di un intervento finalizzato a salvare l'intera l'Eurozona, magari tramite l'Fmi».

Ecco perché, come se attraversati da un'ondata di entusiasmo che ha coinvolto proprio i titoli bancari (+0,74% lo Stoxx di settore europeo) e assicurativi (+0,31%), i listini hanno rapidamente abbandonato il segno meno per ritrovare la via di un guadagno mantenuto fino a fine seduta. Londra è salita dello 0,72%, Parigi dell'1,23%, Francoforte dell'1,19%. Parziali ricoperture tecniche che, secondo alcuni analisti, si spiegherebbero con «il tentativo degli operatori di proteggersi dall'eventualità che, nel week-end o lunedì, i governi europei possano decidere a sorpresa qualcosa che serva a tamponare la crisi del debito». Positiva anche Milano, migliorata dello 0,12%. Poco, in confronto alle altre piazze europee. Abbastanza se si considera che il Ftse Mib perdeva il 2,23% fino a qualche istante precedente alla notizia sull'Esm.

Dall'altra parte dell'Oceano, invece, i listini hanno avuto il tempo di azzerare tutti i guadagni accumulati con l'Europa. Almeno tre le notizie deprimenti che Wall Street ha dovuto digerire. Il downgrade del Belgio da parte di S&P's (da AA+ ad AA); l'ennesima conferma del no agli Eurobond da parte della Finlandia; i colloqui tra la Grecia e i creditori privati sul fatto che Atene possa chiedere condizioni più dure sulla svalutazione del proprio debito. Abbastanza perché l'S&P 500 chiudesse in calo dello 0,27% e il Nasdaq dello 0,75%.

Il pessimo avvio dell'Europa, come detto, è da imputare soprattutto all'esito dell'asta BoT avvenuta in mattinata. I BoT a 6 mesi sono stati collocati per l'intero ammontare offerto (8 miliardi) ma con un rendimento medio che è schizzato al 6,504% dal 3,535% del collocamento di ottobre (si veda per dettagli a pagina 3). «Una pessima notizia - segnala Fabrizio Fiorini, direttore investimenti Gestielle - soprattutto per la scarsa adesione degli investitori domestici», forse scoraggiati anche da un mercato fortemente illiquido. Chiusa l'asta, lo spread del decennale ha toccato i 516 punti base (per chiudere a 511) ma ciò che è peggio, e che in fondo dà la vera misura delle criticità in cui versa il debito italiano, è lo spread sulle scadenze a 2 anni, arrivato ieri a 705 punti, con il rendimento del corrispettivo BTp balzato all'8,19% sul mercato secondario. Un nuovo drammatico massimo dalla creazione dell'euro.

Numeri, questi, che rappresentano un autentico allarme rosso per tutti i mercati europei. E non solo perché sono il termometro della sfiducia nei confronti della carta italiana, la quarta al mondo per dimensione. Ma anche perché «forse costituiscono il segnale che oramai l'Italia ha bisogno di un intervento esterno per garantirsi la liquidità necessaria a rifinanziarsi», spiega un analista obbligazionario. E non che gli altri Paesi se la passino molto meglio: non è un caso, del resto, che nella giornata di ieri siano circolati rumors sulla possibilità che il neo Governo iberico possa chiedere una rete di sicurezza finanziaria esterna.

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