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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:32.

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La Banca centrale europea è come un rubinetto aperto: qualunque istituto di credito del Vecchio continente, se ha bisogno di fondi, può recarsi a Francoforte in qualunque momento e prenderne quanti ne vuole, anche dollari. C'è una sola condizione: alla Bce bisogna dare in garanzia titoli obbligazionari di varia natura. Niente garanzia, niente denaro. Questo, forse, è il problema di alcune banche: i titoli da dare in garanzia sono sempre più scarsi.

Forse è per questo che le ultime «erogazioni» in dollari (sotto forma di asta) sono quasi andate deserte: ieri si sono presentati a Francoforte solo due istituti, che hanno richiesto la «miseria» di 352 milioni. Forse ieri in pochi avevano bisogno di dollari. Oppure il problema è stato, ancora una volta, nelle garanzie. Sta di fatto che la Bce sta già valutando ulteriori misure per dare una mano a un sistema bancario che, a causa della crisi degli Stati, rischia di restare asfissiato.

Il problema delle banche
La rarefazione della liquidità sul sistema bancario europeo è conseguenza diretta dell'incertezza. Una volta le banche trovavano finanziamenti da altri istituti, da fondi pensione, da investitori vari, da fondi monetari Usa. Piano piano tutte queste categorie di investitori si sono tirate indietro. Hanno iniziato i fondi monetari americani, che da gennaio all'estate hanno prestato 700 miliardi di dollari in meno agli istituti del Vecchio Continente: questo ha lasciato le banche a corto di fondi in dollari, costringendo la Bce a reintrodurre a settembre le aste in dollari a 3 mesi (e a quantitativo illimitato).

Poi si sono tirati indietro un po' tutti gli altri. Questo ha messo in difficoltà le banche europee. È vero che c'è sempre la Bce da cui attingere. Ma è anche vero, concordano gli addetti ai lavori, che la Bce non può essere per sempre la fonte quasi unica di denaro: non è così che si finanzia l'economia. Ed è vero che se scarseggiano i titoli da dare in garanzia (si possono usare titoli di Stato e con alcune limitazioni bond bancari, aziendali e anche prestiti), alla fine anche la fonte della Bce diventa difficile da utilizzare: è un po' come avere l'acqua, ma non il bicchiere per berla.

Le armi della Bce
A Francoforte sono ben coscienti del problema: se qualcosa non cambia, il rischio è che banche solventi diventino illiquide. Non a caso la Bce è più volte intervenuta (come ha fatto ieri). Probabilmente lo farà ancora. Gli operatori sono tutti convinti che la data chiave sarà quella dell'8 dicembre: ormai molti danno per scontato un nuovo taglio dei tassi d'interesse all'1%, dopo la «sforbiciata» da 25 punti base nella riunione d'esordio di Mario Draghi. Qualcuno già ipotizza ulteriori tagli in futuro, anche fino allo 0,50%. Già questo farebbe bene alle banche.

Ma potrebbe non bastare. Per questo l'Eurotower avrebbe in serbo ulteriori armi «non convenzionali». La Bce potrebbe concentrarsi sui meccanismi delle aste con cui concede denaro alle banche, estendendo la durata dei prestiti a 2 o 3 anni (anche se non tutti gli analisti sono concordi sull'efficacia della mossa) e allargando la lista dei titoli accettabili come garanzie. Anche l'abbassamento dei margini richiesti per le operazioni, sulla scia di quanto deciso ieri per quelle in dollari, potrebbe essere un segnale importante.

C'è poi l'ipotesi di abbassare fino a zero il tasso che remunera i fondi parcheggiati dalle banche presso la Bce (oggi 0,5%). Sarebbe un incentivo a rimettere in circolo quel denaro di cui altre banche, imprese o famiglie hanno tanto bisogno e che giace paradossalmente inutilizzato. Le opzioni sono tante. Certo è che senza eliminare la causa (la crisi degli Stati), difficilmente si può ridurre l'effetto (le difficoltà bancarie).

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