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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2011 alle ore 06:43.

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L'azione concertata delle sei maggiori banche centrali del mondo industrializzato per rifornire di liquidità gli istituti europei ha sciolto le redini all'oro. Dopo uno slancio verso l'alto di circa il 2% mercoledì, ieri il metallo prezioso si è spinto fino a 1.754 dollari l'oncia a Londra, il massimo da due settimane.
Il successivo afflosciarsi delle quotazioni, legato a detta degli analisti alla frenata dell'attività manifatturiera in Europa e in Cina, ha riaperto il dibattito sulla reale attrattiva dell'oro come bene rifugio: il metallo da settembre ha iniziato sempre più spesso a seguire l'andamento dei listini azionari, anziché essere inversamente correlato, comportandosi più come un asset rischioso che come uno scudo contro le incertezze. Qualche segnale di cedimento della fiducia nell'oro ha cominciato a fare capolino, specie in quelli più sensibili alla volatilità dei prezzi: in Turchia, finito il periodo dei matrimoni, le importazioni di oro in novembre sono crollate ad appena 730,6 kg dale 7,49 tonnellate del mese precedente, dall'India – dove già nel terzo trimestre l'import era sceso del 20% a 200 tonnellate – non arrivano indicazioni incoraggianti sulle vendite, nonostante la stagione dei festival, e a Hong Kong i premi sul metallo fisico questa settimana sono crollati ai minimi da tre mesi.
Anche da un mercato maturo come gli Stati Uniti, arriva qualche segnale di indebolimento della domanda: la Us Mint, la zecca americana, in ottobre ha venduto solo 41mila once di monete d'oro American Eagle, la minor quantità da giugno 2008. Più solido appare per contro l'interesse verso gli Etf, che mercoledì risultavano aver accantonato lingotti per 2.356 tonn, un nuovo record.
Le quotazioni dell'oro, pur restando circa il 10% sotto il massimo storico di 1920,30 $/oz toccato a inizio settembre, sono comunque tuttora in progresso di quasi il 20% rispetto all'inizio dell'anno: una performance tra le migliori in assoluto e decisamente superiore anche a quella delle società aurifere, che in Borsa stentano a veder riconosciuti i risultati, spesso eccellenti, di bilancio.
L'indice Nyse Arca Gold Bugs, che riflette l'andamento di 15 titoli auriferi di società che non ricorrono all'hedging, è in rialzo di appena l'1,9% nel 2011, appesantito dalla performance addirittura negativa di alcune delle società che ne fanno parte. Calcoli di Bloomberg indicano che il Gold Bugs Index è finito la settimana scorsa addirittura ai minimi da novembre 2002, in proporzione agli utili: il suo valore era pari a 17 volte questi ultimi, contro una media di 37 negli ultimi cinque anni. Un buon pretesto per comprare titoli auriferi, secondo alcuni. Altri però restano scettici sulle possibilità di un recupero a breve: «L'oro è un bene rifugio, le azioni minerarie no», sintetizza Anne-Laure Tremblay, analista di Bnp Paribas. Finché sui listini azionari non tornerà la quiete, le società aurifere non riusciranno ad esprimere appieno il loro potenziale. Inoltre, gli investitori da qualche anno dispongono di altre possibilità per guadagnare esposizione all'oro. «Oggi ha più senso comprare un Etf sull'oro fisico – osserva Tremblay – perché la correlazione col metallo è molto più forte».
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