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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 09:27.

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Venerdì prossimo potremmo ritrovarci con un programma compiuto di tagli fiscali e di riforme strutturali in Italia; con un tasso Bce ridotto di almeno 25 centesimi; con l'approvazione di un nuovo bilancio in Grecia; e, soprattutto, con un concreto progetto di unione fiscale europea, uscito dall'incontro dell'8-9 dicembre a Bruxelles tra i governi dell'area euro.

Non sarà la fine della bufera che da mesi scuote i debiti dei Paesi sovrani ma, per dirla con Morgan Stanley, l'inizio della fine di questa crisi. Le Borse, per loro natura eccitabili dopo mesi di stress, potrebbero volare e, quel che più conta, i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli, diradandosi lo spettro del fallimento, scendere a livelli più accettabili.

È lo scenario migliore o, quanto meno, quello che molti s'aspettano. Se le attese andassero in buona parte deluse, ritorneremo a soffrire e il peggio per i debiti sovrani dovrà ancora venire. Ci sono concrete speranze che il 9 dicembre possa costituire uno spartiacque nell'evoluzione della crisi e si sono avvertiti i primi segni in questi giorni. Il più importante è una più diffusa convinzione che solo il trasferimento di una significativa parte delle politiche fiscali nazionali a un organismo europeo può correggere i problemi strutturali dell'euro. Inoltre, va aggiunta la disponibilità della Germania ad accollarsi parte dei costi per salvare l'Unione monetaria. A corollario di tutto questo, va considerato il progetto di Mario Draghi di ampliare gli strumenti d'intervento della Bce, fatto salvo il caposaldo dell'autonomia della banca centrale e stabilito l'impegno dei politici verso un'unione fiscale.

Sotto quest'ultimo aspetto, qualcosa di nuovo lo s'era avvertito già la scorsa settimana ed era trapelato nel colloquio riportato in questa rubrica con l'economista Franco Bruni. Ma il fatto nuovo di questi giorni è stata la disponibilità del Governo tedesco, ufficialmente espressa dal ministro Wolfgang Schäuble, di accettare il meccanismo dell'European Redemption Fund (Fondo di salvezza europeo) proposto da cinque esponenti del German Council of Economic Experts. La novità sta nell'accettazione tedesca di coniugare i principi di un «irrevocabile consolidamento delle finanze pubbliche» nazionali (leggi Unione fiscale) e di una irrinunciabile riduzione dei debiti sotto il 60% del Pil tra 20 anni, con il principio della solidarietà tra gli Stati membri. Il fondo, finanziato con le entrate fiscali dei vari Stati in proporzione al debito eccedente il 60% del Pil, acquisterebbe bond governativi a rendimenti più bassi (4-5%) di quelli pagati oggi dal Tesoro italiano o spagnolo.

Che la data del 9 dicembre possa dunque rappresentare lo spartiacque della crisi (o l'inizio della fine della confederazione europea, se tutto andasse storto) sembra diventare la convinzione dei mercati. Chi, più lucidamente l'ha espressa, è Arnaud Mares di Morgan Stanley, lo stesso che molto tempo fa aveva pronosticato il disastro greco. Secondo l'economista, un vero federalismo fiscale deve esigere «un pieno e permanente controllo» da parte di un organismo comunitario sulla politica fiscale degli stati membri; e, nel contempo, un meccanismo che assicuri il pieno ed equo finanziamento ai governi nazionali. Mares non si nasconde che il processo verso l'unione fiscale non sarà rapido e per questo s'impone un «meccanismo di transizione» in grado di finanziare «i governi e le banche».

Chi, invece, invoca per la Bce il ruolo di prestatore di ultima istanza, analogo a quello della Fed, dimentica che tutti gli interventi straordinari operati dalla banca centrale americana tra il 2008 e il 2009 avvennero sotto espressa garanzia del Tesoro Usa. Prima di pretendere un "bazooka" anche per la Bce, ossia strumenti monetari non convenzionali, i mercati dovrebbero dunque considerare che la banca europea governa una valuta priva di un vero coordinamento fiscale ed economico.

In settimana, le Borse son volate: +7,4% l'S&P, +8,7% lo Stoxx (+11% Milano, +10,8% Parigi, +10,7% Francoforte, +7,5% Londra).

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