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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 08:16.
Piazza affari è alle prese con gli abbattimenti del goodwill. Quel valore di avviamento, legato alle acquisizioni e fusioni aziendali, è cresciuto costantemente negli ultimi anni dilatando le attività immateriali nei bilanci patrimoniali delle imprese. E ora che la crisi mostra il suo volto più duro quei valori non sono più sostenibili e, come sta avvenendo per i portafogli di azioni ed obbligazioni, le società si preparano ad abbatterli consistentemente nei loro bilanci. Ha iniziato nelle scorse settimane UniCredit annunciando una svalutazione (impairment) del goodwill per ben 9,7 miliardi e le altre quotate si preparano a intraprendere la stessa strada. In che termini? La questione è attentamente monitorata in queste settimane dalla Consob. La commissione di vigilanza due anni fa, nella fase più acuta del dopo Leheman Brother's, inviò una comunicazione assieme a Banca d'Italia e Isvap invitando le società quotate a non lesinare informazioni su continuità aziendale, verifiche sulla tenuta di asset e stime aziendali.
Nel rinnovato contesto di difficoltà potrebbe ora replicare la medesima iniziativa. Nel frattempo sul tema dei goodwill è già al lavoro il neonato "organismo italiano di valutazione" (Oiv) – standard setter sulle valutazioni contabili – che, all'inizio del prossimo anno licenzierà prime linee guida in materia. Indirizzi che le società potrebbero fare proprie nei loro impairment test.
La partita del goodwill è miliardaria. Gli asset intangibili delle società del listino di Borsa erano iscritte complessivamente nei bilanci per 138,8 miliardi nel 2005 e il loro valore era lievitato a 311 miliardi a fine 2010 giungendo a rappresentare in media ben il 38% del patrimonio netto aziendale. Ma anche quest'anno, a dispetto dello sfavorevole trend, quella voce patrimoniale ha continuato a crescere (333 miliardi a fine settembre). E questo proprio mentre la crisi colpiva duramente il mercato azionario (soprattutto i titoli del comparto finanziario) allargando pertanto la forbice tra la capitalizzazione di Borsa in picchiata e il patrimonio netto, sostenuto anche dagli attivi immateriali. Al 23 novembre scorso il rapporto tra i due valori, nel settore bancario, era sceso a circa il 30% ed evidenziava una presunzione di impairment implicita di 133 miliardi secondo le stime presentate da Mauro Bini, presidente del consiglio di gestione dell'Oiv, a un recente seminario di Nedcomunity (associazione degli amministratori indipendenti).
È questa l'entità degli abbattimenti contabili che si sta preparando? «No, però fornisce una dimensione del problema – spiega Bini – i principi contabili non impongono l'adeguamento al valore di mercato nell'effettuare gli impairment test quanto una prudente valutazione degli asset immateriali. I principi contabili internazionali Ifrs includono nelle stime anche il valore d'uso di quegli attivi che può essere calcolato con i flussi attualizzati dei ricavi futuri stimati nel business plan. Quel dato si adegua con maggiore lentezza all'andamento dei mercati. Certamente se la crisi si aggrava assieme alle previsioni economiche anch'esso è destinato a deteriorarsi».
In ogni caso dopo che la partita degli attivi immateriali si è continuamente dilatata negli anni scorsi, non bisogna cadere – prosegue Bini – nell'eccesso opposto del big bath (come lo chiamano in Usa), cioè di un drastico "bagno di sangue" delle poste patrimoniali. «Ciò che veramente importa è uno standard qualitativo elevato, far conoscere la metodologia che si utilizza prima di effettuare gli impairment test e ponderare con attenzione la rischiosità del proprio business. Le nostre linee guida si propongono appunto di aiutare le società in questo cammino». Il peso del goodwill nel bilancio patrimoniale delle società nasce nel 2005 con l'introduzione dei principi contabili internazionali. In precedenza l'avviamento – la differenza di valore tra gli asset "materiali" incamerati con un'acquisizione o una fusione e il prezzo di acquisto effettivamente pagato per un'entità – era considerato un costo da ammortizzare annualmente. Con gli Ifrs è diventato a pieno titolo un asset con il quale si esprime la potenzialità di crescita di una società acquisita o incorporata.
Quando i nuovi principi contabili sono entrati in vigore le imprese avrebbero potuto sterilizzare quel goodwill nei loro conti economici ma, in quel contesto di mercati in crescita, quasi nessuno le fece per avvantaggiarsi di cospicue plusvalenze. A distanza di pochi anni la crisi presenta il conto.
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