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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2011 alle ore 09:53.

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SHANGHAI – La crisi del debito dell'Eurozona continua a tenere sotto forte pressione le Borse cinesi. Oggi per entrambi i listini del Dragone – quello di Shanghai e quello di Hong Kong, dove ormai oltre i due terzi della capitalizzazione è rappresentata da società di diritto o di capitale cinese – è stata un'altra giornata di passione.

Dopo essere stato bersagliato fin dalle prime battute dalle vendite, lo Shanghai Composite Index ha archiviato la giornata a quota 2.181 punti con una perdita del 2,1%. Per la Borsa shanghainese si tratta della sesta seduta negativa, una stringa ribassista che ha portato l'indice al livello più basso degli ultimi tre anni.

Frattanto, la Borsa di Hong Kong ha lasciato sul terreno l'1,8% chiudendo le contrattazioni a 18.026 punti. A fare maggiormente le spese del sentimento negativo degli investitori dell'ex colonia britannica è stata una malcapitata new entry del listino: il collocamento di Chow Tai Fook, una delle più grandi catene di gioiellerie del mondo (ha oltre 1.300 negozi in Asia), in programma proprio in questi giorni, si è concluso con un clamoroso fallimento.

Perché tanto pessimismo sulle Borse Rosse, sebbene l'economia cinese quest'anno crescerà sicuramente a un tasso superiore al 9 per cento?
Le risposte sono due. La prima è che la Cina, nonostante l'espansione dei consumi domestici registrata negli ultimi anni grazie anche alla spinta politica del Governo, resta un'economia fortemente legata alle esportazioni. E queste ultime, come confermano i dati degli ultimi mesi, non promettono nulla di buono. "L'Unione Europea è il principale partner commerciale di Pechino e, quindi, finché Bruxelles non troverà una soluzione chiara, definitiva e convincente della crisi debitoria, il mercato continuerà a penalizzare i listini anche in Cina e nel resto dell'Asia" osserva un operatore della Borsa di Hong Kong.

La seconda è che, sconfitta l'inflazione (dopo un anno in alta tensione, a novembre l'incremento dell'indice dei prezzi al consumo è sceso al 4,2%, cioè a vicino all'obiettivo programmatico del Governo), Pechino oggi si trova per le mani altre gatte da pelare. Innanzitutto, la gestione la bolla immobiliare il cui eventuale scoppio rischia di avere un forte impatto, non solo sugli equilibri economici e finanziari del paese, ma anche su quelli sociali. Oppure, la crisi di liquidità che minaccia di strangolare le piccole e medie imprese.

E poi il rallentamento dell'economia che, come segnalano una serie di indicatori, dovrebbe proseguire anche nel 2012. "All'improvviso l'inflazione si sta trasformando in disinflazione obbligando il Governo a fare rapidamente qualcosa per sostenere la crescita economica e il mercato del lavoro" avverte Qu Hongbin, capo economista di Hsbc.

Tre anni fa, nel bel mezzo della crisi finanziaria internazionale, il Dragone reagì brillantemente varando con grande tempismo un piano di sostegno all'economia domestica da 600 miliardi di dollari, perlopiù sotto forma di lavori pubblici. Ma oggi anche la Cina ha i suoi vincoli di bilancio (ufficialmente il debito pubblico è di poco superiore al 20% del Pil, ma secondo diversi economisti in realtà s'aggirerebbe tra 70 e il 90 per cento) e quindi lo spazio per un'altra, massiccia iniezione di spesa pubblica appare piuttosto limitato.

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