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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2011 alle ore 06:44.

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Una coincidenza singolare, forse non del tutto casuale. La Libia ha ufficializzato che farà la sua parte nel rafforzamento del capitale di UniCredit – decisione in parte attesa, ma comunque a rischio visto lo stato in cui versa ancora il paese – proprio nel giorno in cui Mustafa Jalil, presidente del Cnt, il governo di Tripoli, ha fatto visita a Roma. Mentre erano in corso i colloqui istituzionali al Quirinale e a Palazzo Chigi, sempre a Roma la Libia aderiva all'aumento di capitale. Sborsando centinaia di milioni, custoditi nella banche italiane (UniCredit in testa, ma anche in Ubae) scongelati allo scopo dal ministero dell'Economia, attraverso il Comitato di Sicurezza Finanziaria. Già, perché le partecipazioni della Banca Centrale di Tripoli e della Lia – Lybian Investment Authority – complessivamente al 7,50%, sono ancora sotto "freeze" dopo le decisioni della scorsa primavera di Onu e Ue.
Ma perché la Libia – che ha disperato bisogno di denaro per avviare la ricostruzione – sottoscrive un pesante aumento di capitale in una banca italiana? «Dai tempi della partecipazione dell'Italia all'operazione militare di liberazione c'è un accordo, e noi siamo di parola» spiega una fonte libica. L'impegno a non vendere la quota in UniCredit fu preso da Jalil nella sua visita a Roma del 19 aprile scorso, quando la campagna militare era ancora in alto mare e il Colonello ancora ben saldo in Tripolitania. Nel dettaglio, l'intesa non scritta è che Tripoli non avrebbe ceduto la partecipazione in UniCredit per non creare dissesti nell'azionariato del gruppo bancario, già messo a dura prova dalla crisi finanziaria.
Anche se fino a oggi non sarebbe stato possibile vendere, la decisione di aderire all'aumento di capitale è il segnale che il filo rosso tra piazza Cordusio e Tripoli resta saldo, per quanto possibile. La prospettiva è anche implementare la licenza bancaria rilasciata a UniCredit ad operare in Libia (pressochè unica, nonostante le banche inglesi stiano da tempo premendo per entrare, specie la Hbsc). Casomai l'interesse libico è di recuperare gli ingenti depositi accumulati negli anni, anche se in parte scongelati (non senza interesse da parte italiana, come il caso di ieri).
Ieri in assemblea era presente l'ex governatore della banca centrale libica, Omar Fahrat Bengdara, che è ancora membro del cda e vicepresidente. Ma secondo alcune fonti libiche Bengdara, che poco dopo l'avvio della crisi in Cirenaica dichiarò di aver abbandonato il regime del Colonnello, non avrebbe più il ruolo di plenipotenziario delle finanze libiche in Italia. Da settembre a guidare la Banca Centrale è stato chiamato Gasem Azzoz, ma ruoli forti li hanno Ali Abdussalam Tarhouni, e quel Mohamed Layas, anziano ed esperto capo del fondo sovrano Lia (autore del blitz che nel 2010 aveva portato al 7,5% la partecipazione libica), rimasto nel suo ufficio nella El Fathe Tower durante l'attacco della Nato: dopo la liberazione della capitale è stato confermato al suo vecchio posto.
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IN CIFRE

4,991%
La quota della Banca centrale
La banca centrale libica (Central Bank of Libya Group) detiene poco meno del 5% del capitale di UniCredit.
2,594%
La quota della Lia
La Libyan Investment Authority, ovvero il fondo sovrano di Tripoli, detiene il 2,5% di Piazza Cordusio. Ieri il Governo italiano ha scongelato 600 milioni di fondi libici bloccati a seguito delle tensioni che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi.

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