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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 15:05.
La crisi delle famiglie e delle imprese inizia a deteriorare i conti operativi delle banche italiane. Nei bilanci delle prime dieci stanno esplodendo le sofferenze. Secondo l'analisi delle ultime trimestrali, compiuta per «Il Sole 24 Ore» dall'Osservatorio Tam della Liuc di Castellanza e di Orlando Italy, la fragilità finanziaria delle imprese e delle famiglie incomincia a trasformarsi in incapacità di ripagare i debiti. Un primo assaggio, perché il grosso del problema emergerà nell'ultima parte dell'anno. Ma, comunque, un fenomeno che già adesso assume un profilo preciso. Al 30 settembre di quest'anno, i crediti deteriorati sono arrivati a un valore complessivo di 103,429 miliardi di euro. Una cifra doppia rispetto a tre anni fa.
Il problema non è però soltanto rappresentato dalla crescita del valore assoluto. È anche costituito dall'incremento del peso relativo di quelli deteriorati sul totale dei crediti. Nel 2008, l'anno del fallimento di Lehman Brothers che ha originato l'incendio dei mercati finanziari, questo peso era il 3 per cento. Nel 2009 è salito al 6 per cento. Nel 2010 è andato al 7 per cento. Alla fine del terzo trimestre di quest'anno è diventato pari al 12 per cento. «La crisi di quest'estate – dice Jonathan Donadonibus della Liuc – ha iniziato a incidere sui rendiconti delle banche relativi al terzo trimestre, ma impatterà soprattutto su quelli del quarto trimestre. Per questa ragione, è possibile ipotizzare che, entro fine anno, i crediti deteriorati peseranno sul totale non meno del 14 per cento. Dunque, una incidenza doppia rispetto a quella di un anno fa».
Di questi crediti deteriorati, il 42% sono classificati come sofferenze, il 36% come incagli, il 15% come ristrutturazioni e il 7% come esposizioni scadute. Interessante osservare la dinamica di queste differenti categorie: nel 2009, primo anno della crisi, le sofferenze sul totale dei crediti deteriorati erano il 34% (dunque, aumenteranno di otto punti negli anni successivi), gli incagli il 44% (meno otto punti negli anni dopo), le esposizioni scadute l'11% (quattro punti in meno) e le ristrutturazioni il 10% (5 punti in più al 30 settembre di quest'anno). Dunque, le ristrutturazioni sono aumentate in maniera significativa. «Gli automatismi regolamentari ma anche le scelte soggettive dei funzionari delle banche – osserva l'economista Giovanni Ferri, membro del banking stakeholder group dell'Eba – hanno fatto aumentare il ricorso alle ristrutturazioni dei crediti. Si tratta di un fenomeno interessante e dal doppio volto. Le banche convertono una parte dei crediti in capitale. E il tempo dirà se sarà stato un buon affare, diventare azioniste di società industriali e commerciali che, prima, erano soltanto loro clienti. Intanto, però, devono svalutare quei crediti trasformati in equity a bilancio, con tutte le conseguenze del caso sui loro ratios patrimoniali».
Le sofferenze sono un lagging indicator e quindi quello che sta emergendo oggi è il risultato della crisi del 2009 che le banche si erano convinte a far venire fuori nella fase di parziale recupero economico, fra il 2010 e la prima metà 2011. La scala di quanto verrà fuori, sui bilanci dell'anno prossimo, sarà probabilmente ancora superiore rispetto a quella di adesso.
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