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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2011 alle ore 06:42.


PARIGI. Dal nostro corrispondente
Henri Proglio, 62 anni, da due alla guida di Edf, ha la fama di essere un duro. E certo sa muoversi con abilità nel mondo della politica. Altrimenti non sarebbe dov'è, al comando del colosso pubblico dell'energia, il settore forse più strategico per la Francia. Altrimenti non sarebbe riuscito a vincere la battaglia, anche personale, contro l'ex numero uno del gruppo nucleare Areva, Anne Lauvergeon. Ha origini piemontesi, e adora la cucina italiana. Chissà se tutto questo gli consentirà di chiudere da vincitore, in un modo o nell'altro, la battaglia per il controllo di Edison. Cominciata dieci anni fa e ricca di colpi di scena.
L'ultimo ieri, con i soci italiani che – improvvisamente e inaspettatamente compatti – hanno messo sul tavolo una nuova proposta del tutto diversa rispetto agli scenari disegnati con gli accordi di marzo e di fine ottobre. Il primo, come commentò lo stesso Proglio, si arenò «su una vicenda di gioielli e formaggi». Erano i tempi dell'operazione con cui Lvmh comprò Bulgari e di quella con cui Lactalis acquisì Parmalat. In nome della difesa dell'italianità, l'allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti pensò bene di stoppare almeno Edf.
Ecco quindi il primo rinvio del patto di sindacato, a metà settembre. Cui ne seguirono un secondo, a fine ottobre, e un terzo, a fine novembre. Quest'ultimo, apparentemente, solo per mettere a punto i dettagli della nuova intesa di massima raggiunta a Parigi il 24 ottobre, con lo scioglimento di TdE e la spartizione degli impianti di Edipower. Il fatto è che i dettagli si sono rivelati ben presto tutt'altro che dei dettagli. Piuttosto due massi enormi sulla strada dell'accordo finale: la suddivisione del debito di Edipower (ritenuta iniqua dai soci italiani) e la libertà per Edf di decidere l'aumento di capitale per Edison (che diluirebbe la partecipazione italiana).
Nuovo rinvio a fine dicembre, quindi, e nervosismo crescente dei francesi. Chiaramente espresso dal direttore finanziario di Edf Thomas Piquemal in una lettera dello scorso 9 dicembre che suonava come un ultimatum: la situazione di Edison si sta rapidamente degradando e le agenzie di rating sono pronte a declassare i titoli a junk bonds, non c'è più tempo, un altro rinvio è inaccettabile.
Tecnicamente, Edf ha il coltello dalla parte del manico. In qualunque momento può denunciare il patto e andare all'asta sul controllo di Edison. E la sua potenza di fuoco finanziaria non lascia dubbi sul risultato.
Ma il terreno è molto scivoloso e la vittoria di oggi potrebbe trasformarsi in un futuro pieno di spine e di ostacoli. Qui non si parla di aziende private e di gioielli o formaggi, bensì di un settore largamente pubblico e ad altissima sensibilità politica. Come dimostra il fatto che il dossier è nuovamente tornato sul tavolo del Governo, nello specifico del ministro - ed ex banchiere - Corrado Passera. Che ieri ha incontrato i soci italiani, ai quali avrebbe garantito l'appoggio. Altrimenti non si spiegherebbero le bellicose e minacciose dichiarazioni del presidente del Consiglio di sorveglianza di A2A Graziano Tarantini («La nostra proposta è da prendere o lasciare») e dell'assessore milanese Bruno Tabacci ("Sì al nostro piano se i francesi non vogliono la guerra, e ci sono tanti strumenti…").
Edf si è trincerata dietro un silenzio assoluto. Piquemal, scuro in volto, non ha rilasciato dichiarazioni. Adesso lui e Proglio hanno una settimana per decidere il da farsi: forzare la mano (con la richiesta di un aumento di capitale giustificato dalle relazioni presentate ieri dagli advisor sul fabbisogno finanziario di Edison o addirittura la denuncia del patto e l'asta), andando allo scontro anche con il Governo, oppure accettare la proposta italiana cercando di strappare le condizioni migliori.
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