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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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di Riccardo Sabbatini Un'avventura durata dieci anni. Tanto si è protratto il regno assoluto della famiglia Ligresti su Fondiaria-Sai concluso ieri dalla decisione del Cda su un aumento di capitale che comporterà una forte diluizione dei tradizionali azionisti di controllo. La storia era iniziata nel febbraio del 2002, quando Enrico Bondi fu estromesso a sorpresa dall'incarico di Ad che gli era stato affidato pochi mesi prima con il compito di condurre a termine l'integrazione tra le preesistenti società appena fuse. Ma soprattutto - nelle intenzioni di Mediobanca, grande regista dell'operazione – di stemperare la natura familiare di quel gruppo che era giunto a scalare la classifica delle compagnie italiane acquisendo la leadership nella Rc auto. Tutto inutile. Appena il tempo di incassare il primo prestito subordinato di Mediobanca (in tutto ne sono stati erogati per 1,050 milioni) ed il fondatore del gruppo Salvatore – o "mister 5%" come veniva chiamato a Piazza Affari per il reticolo di partecipazioni nelle società del "salotto buono" – metteva alla porta quell'austero manager fiorentino con la motivazione ineccepibile che, dopotutto, i soldi ed il rischio erano a carico della famiglia.
Da allora, e fino a ieri, i Ligresti hanno deciso il bello ed il cattivo tempo in Fonsai integrando il business assicurativo con quello immobiliare caratteristico della loro famiglia. Un imprenditore edile ha un problema di liquidità, prima costruisce un edificio e poi passa all'incasso. Proprio il contrario di un assicuratore che incamera i premi e poi eroga il servizio (i risarcimenti). I Ligresti hanno integrato i due business. Quando la Consob, scoperchiò (2010) la pentola delle operazioni in conflitto d'interesse, apparve evidente il gran numero di finanziamenti (per oltre 200 milioni) accordati negli anni dalla compagnia alle società immobiliari della famiglia.
Non solo in quello si può misurare la mancanza di disciplina che, in fondo, è stata la causa del dissesto. Per anni le retribuzioni degli azionisti-manager Ligresti sono state spropositate. Nel 2008, ad esempio, Jonella Ligresti incassò compensi per 4,4 milioni superiori a quelli dell'Ad di Generali Giovanni Perissinotto (2,4 milioni) e del presidente di Axa Henry de Castries (3,3 milioni).
A posteriori anche la gestione del business è stata condotta con la medesima disinvoltura. Nell'ultimo anno, da quando l'Isvap ha condotto le sue ispezioni sul gruppo, le riserve tecniche sono state rimpinguate per circa 1,3 miliardi. Evidentemente in origine non erano così congrue. Simili condotte sono state rese possibili dal trend favorevole della Rc auto che ha caratterizzato il mercato fino al 2008. Ma quando il trend è cambiato i nodi sono venuti al pettine. Ed i controlli? Quelli dell'Isvap nell'ultimo periodo sono stati penetranti ma le vere ispezioni sono iniziate nel 2010. E prima? Quanto agli azionisti di minoranza la loro è sempre stata una voce flebile. Il meeting del 2011 che ha approvato conti in perdita per un miliardo, si è concluso tra gli applausi al management. Chissà se accadrà lo stesso alla prossima assemblea degli azionisti.
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