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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2011 alle ore 08:11.
Per colpire i furbi, tanti o pochi che siano, l'Italia intera deve fare i conti con una legge boomerang. È quella che svantaggia fiscalmente le imprese non quotate in Borsa quando cercano di emettere prestiti obbligazionari. Una legge scritta negli anni '90 perché troppi imprenditori usavano gli allora vantaggi fiscali dei bond per aggirare il fisco, oggi è infatti diventata un boomerang che rischia di strozzare le stesse imprese (anche quelle oneste) per cui è stata scritta. Le aziende non quotate, infatti, non riescono a tagliare il 'cordone ombelicale' che le tiene attaccate alle banche in crisi, per colpa degli svantaggi fiscali imposti dalla legge: se questo non era un problema quando le banche avevano le maniche larghe nei finanziamenti, oggi diventa un handicap gigantesco. Che strozza l'Italia reale. Quella che produce.
Il problema - spiegano gli avvocati di Allen & Overy Francesco Guelfi e Paola Leocani - è semplice. Le imprese quotate in Borsa (meno di 300 in tutta Italia) hanno due vantaggi rispetto a quelle non quotate quando emettono obbligazioni. Uno: gli interessi passivi sono deducibili, entro i limiti ordinari previsti dalla legge. Due: agli investitori esteri le cedole vengono pagate al lordo, cioè senza prelievo fiscale in Italia. Questo incentiva le aziende quotate ad emettere obbligazioni (permettendo loro di smarcarsi dal sistema bancario in crisi) e gli investitori esteri a comprarle. Le aziende non quotate non godono invece di questi vantaggi. Morale: loro faticano ad emettere bond, e se anche li emettessero faticherebbero a trovare investitori esteri disposti a comprarli.
Questa norma era stata scritta nel 1998 perché troppe aziende emettevano obbligazioni 'fittizie', che venivano acquistate da società estere da loro stesse controllate per ottenere i vantaggi della deducibilità. Per fermare questa tentazione evasiva, questo truffaldino malcostume, il Parlamento decise di tagliare la testa al toro: da allora le imprese non quotate (quelle meno controllabili dalle Autorità) non possono più usufruire di quei vantaggi fiscali. Il problema è che questa norma, studiata per colpire i furbi, oggi rischia di ammazzare il Paese: perché rende difficile, se non proibitivo, la ricerca di canali alternativi di finanziamento.
Il mondo bancario ha così deciso di agire, per fare pressioni al Governo affinché elimini questi vincoli. Promotore dell'iniziativa è, ironia della sorte, una banca francese: Bnp Paribas. «Siamo convinti - afferma Gabriele Vianello di Bnp - che il Governo italiano debba creare una nuova cornice legislativa, che permetta alle imprese di accedere a un ventaglio più ampio di fonti di finanziamento». Bnp ha espresso questi concetti in una lettera, girata tra tutte le banche. Presto sarà discussa e poi spedita a Palazzo Chigi. Speriamo che, pur continuando a combattere l'evasione fiscale, qualcosa cambi: perché parlare di «sviluppo» senza togliere i bastoni tra le ruote alla imprese, è come voler partecipare a una corsa di ciclismo senza gonfiare le gomme.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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