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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2011 alle ore 06:43.
di Antonio Quaglio
UniCredit, Mediobanca, Fondiaria, le Fondazioni di origine bancaria. Le fasi di forte turbolenza economico-finanziaria premono puntualmente sugli assetti di controllo dei grandi intermediari – banche e assicurazioni – a colpi di privatizzazioni, aumenti di capitale, fusioni e acquisizioni. E i nomi delle istituzioni protagoniste – in Italia ma non solo – spesso non cambiano. Così come i leit-motiv strategici.
Lira in caduta libera nello Sme e spread oltre quota 750: è su questo sfondo drammatico, tra '92 e '93 che lo Stato italiano mette in vendita Credit e Comit, gioielli bancari dell'Iri. L'operazione viene realizzata dal Governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi, che rifiuta inizialmente una proposta "di sistema" avanzata da Mediobanca (di cui le due Bin milanesi sono allora azioniste strategiche): rilevare a fermo, come capofila di "noccioli duri" in formazione, i due pacchetti di maggioranza assoluta, impegnandosi a ricapitalizzare subito le due banche. Il Tesoro (direttore generale Mario Draghi) e Iri (presidente Romano Prodi) preferiscono la via dell'Opv integrale sul mercato e la formula anglosassone della “public company”.
Piazza Cordusio (advisor Goldman Sachs) fa da battistrada a Piazza della Scala e viene collocata a un prezzo molto "buy", praticamente senza premio di maggioranza o altro "overprice": tutto esaurito. Ma nel "periodo grigio" tra l'Opv e l'assemblea di rinnovo del cda, Mediobanca fa intervenire in Borsa il gruppo Pesenti (finanziandolo con un aumento di capitale) e Ras-Allianz. Sarà poi l'ad di Ras, Roberto Gavazzi, a suggerire il nuovo chief executive del Credit: un 39enne quasi sconosciuto di nome Alessandro Profumo. E Gavazzi sarà poi chiamato da Mediobanca a ristrutturare Fondiaria, commissariata dopo il crack Ferfin: uno dei tanti della bufera dei primi anni '90.
Il Credit targato Mediobanca vara rapidamente un aumento di capitale sul mercato, in tempo utile per lanciare un'Opa ostile – riuscita – sul Credito Romagnolo. Ed è solo l'inizio. Nel '98 – durante la fase critica di avvicinamento finale all'euro – il Credit di Profumo scompiglia le carte sullo scacchiere bancario fondendosi a sorpresa con Unicredito (Casse di Verona, Torino e Treviso). L'anno prima la Cariplo si è aggregata con l'Ambroveneto in Intesa, ma è con la nascita di UniCredit che Fondazioni si affacciano sulla "galassia Mediobanca". L'anno dopo UniCredit muove all'attacco della Comit, ma Via Filodrammatici (con l'aiuto della Banca d'Italia di Antonio Fazio) gliela nega e la difende presso al "cavaliere bianco" Intesa di Giovanni Bazoli. Mediobanca, tuttavia, si sgancia subito da Intesa-Comit e lascia via via a UniCredit il ruolo di "chiodo" della proprietà e della governance di Mediobanca: un ruolo che dura tuttora.
È trascorso più di un decennio, a cavallo della grande crisi bancaria: la scalata di Vincent Bolloré e Antoine Bernheim, la difesa italiana delle Generali, la traumatica uscita di scena di Vincenzo Maranghi, la parentesi di Cesare Geronzi alla guida di Mediobanca e poi del Leone. UniCredit, nel frattempo, mette a segno la fusione transeuropea con la tedesca Hvb e poi quella domestica con Capitalia. Si piega – più di altre banche italiane – sotto i colpi della finanza derivata e ricapitalizza una prima volta sul mercato con l'aiuto decisivo di Mediobanca. Estromette Profumo e accetta l'ingresso di capitali libici poco prima della tragica conclusione della leadership del colonnello Gheddafi. Non da ultimo: promuove un primo salvataggio di Fondiaria, fusa con Sai nell''orbita della famiglia Ligresti in uno dei tanto sommovimenti seguiti alla nascita dell'euro (l'Opa su Montedison, giunta proprio ieri al suo esito finale su Edison). Piazza Cordusio, infine, non si oppone a che l'assemblea Mediobanca nomini in consiglio un presidente di Fondazione: il bolognese Fabio Roversi Monaco.
Ora l'Eba ha sollecitato un nuovo rafforzamento patrimoniale e UniCredit (ora presieduta dal tedesco Dieter Rampl) – unica italiana tra le 29 banche "sistemiche" – risponde varando un'operazione da 7,5 miliardi. Il prezzo di Borsa è "very buy" (poco più di un euro, non molto più delle 2075 lire del'Opv di diciotto anni fa). Goldman Sachs, stavolta, non sarà della partita, mentre nel consorzio di garanzia Mediobanca non farà mancare il suo appoggio. Due Fondazioni-pivot (Verona e Torino, presenti anche in Mediobanca e Generali) hanno già confermato il loro sostegno: ma assieme contano ormai per meno del 10 per cento. L'Azienda-Germania per ora è silente: il presidente uscente di Allianz Italia, Tommaso Cucchiani, è stato anzi appena nominato Ceo di Intesa Sanpaolo. Fonsai. Ma è difficile che tra Berlino e Francoforte non si presti attenzione a un gruppo fortemente presente in Germania e nell'Est europeo: soprattutto in una fase in cui nulla vieta che la liquidità bancaria straordinaria venga impiegata per operazioni di "sistema" su scala europea. Nel frattempo, FonSai attende nei dintorni un'ennesima ricapitalizzazione-riassetto. Con un po' di suspense per le mosse della famiglia Ligresti, ma con segnali inequivocabili da parte di Mediobanca: niente soluzioni avventurose per un'azienda strategica del capitalismo nazionale.
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