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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 14:48.

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Il «compito a casa» più gravoso l'Eba lo ha assegnato in Spagna. L'ultimo stress test dell'authority bancaria Ue ha stimato che al Banco Santander manchino più di 15 miliardi di euro di patrimonio per allinearsi alla quota di galleggiamento minima desiderata per il Core Tier 1 (9%). Il gap di capitale è cinque volte superiore a quello richiesto all'italiano Mps, che dal canto suo ha asset totali proporzionalmente inferiori. Il «campione nazionale» iberico (pilotato da una famiglia con meno del 3% del capitale) e la più antica banca europea tuttora in attività (dove una fondazione municipale si è indebitata per rimanere al 45%) delimitano simbolicamente una frastagliata linea di partenza.

L'ondata di ricapitalizzazioni sollecitate dall'Eba (114,6 miliardi di perentoria moral suasion) è infatti prevedibilmente destinata a cambiare gli assetti di controllo maturati con l'avvio dell'euro e finora scossi quasi soltanto dai salvataggi pubblici seguiti al 2008. Ma è presto per capire quali saranno i percorsi e gli approdi.

UniCredit - che da domattina (ieri ndr) chiederà a Piazza Affari 7,5 miliardi di nuovi capitali - parte dal modello di proprietà e governance costituito all'origine (1998) e mantenuto dopo la fusione con tedesca Hvb (2005). A quattro fondazioni italiane si affiancano tuttora il gigante assicurativo tedesco Allianz e alcuni imprenditori privati italiani, con quote minori. Solo nel 2009, dopo un primo crollo in Borsa del titolo si sono affacciati Mediobanca (in veste fiduciaria, dopo aver garantito una prima ripatrimonializzazione) e due investitori sovrani: la Libia (ora in transizione) e l'Emirato di Abu Dhabi. L'aumento a forte sconto (43%) ha abbattuto nuovamente UniCredit al listino e la Consob ha acceso un faro sulle mosse speculative degli hedge fund: sulle loro vendite, ma in prospettiva anche sulla formazione low cost di nuove posizioni rilevanti.

Quanti hedge fund sono in attesa dentro o attorno l'azionariato Santander? Ma avrebbero spazio? La terza e la quarta generazione della famiglia Botìn (don Emilio Botin-Sanz de Sautuola y Garcia de lo Rios e la figlia Ana Patricia) sono ancora alla guida diretta di una banca che la homepage qualifica come «la quarta al mondo per profitti e l'ottava per capitalizzazione di Borsa». È una delle 29 istituzioni globali su cui il G-20 ha avviato una «vigilanza sistemica». Ma i 20 membri del board (tutti spagnoli tranne un inglese e in parte parenti) contano ufficialmente sul 2,94 per cento.

Nella primavera del 2007, alla vigilia del deflagrare della crisi, il gigante madrileno si alleò con Royal Bank of Scotland e Fortis per conquistare l'olandese Abn Amro: un'operazione-monstre da 72 miliardi in contanti che suonò anche come accelerazione di un riassetto bancario transnazionale in Europa. Lo smembramento di Abn assegnò al Santander l'AntonVeneta, strappata due anni prima dagli olandesi alla cordata pilotata della Popolare Italiana. L'AntonVeneta fu subito rivenduta dagli spagnoli al Montepaschi, desideroso di crescere in casa senza fusioni diluitive. Ma quell'esborso di 9 miliardi cash ha creato a Siena uno scompenso che l'Eba stima ancora oggi in 3,3 miliardi di base patrimoniale. E ora la Fondazione lotta quanto meno per gestire il ridimensionamento di una proprietà comunale che nella Banca Mps dura dal 1472 e ha superato anche una ventennale riforma delle banche pubbliche in Italia. Come le grandi banche italiane, anche i Botìn contano che l'Eba allenti un po' i suoi standard contabili (ma il nuovo governo spagnolo incalza). Nel frattempo gli ex alleati del Santander hanno cambiato padrone da un pezzo e in modo traumatico. Rbs appartiene ora per il 67% allo Stato britannico: unica alternativa al fallimento. Fortis - primo crack europeo all'indomani del default Lehman Brothers - è rimasta la prima banca belga, ma solo dopo essere stata incorporata nella francese Bnp Paribas. Quest'ultima, d'altronde, ha visto emergere nel suo azionariato lo Stato belga al 10 per cento e il Lussemburgo all'1 per cento. Il rafforzamento patrimoniale da 1,4 miliardi chiesto ora dall'Eba non sembra un ostacolo insormontabile per Bnp, ma è presto per capire quali assetti stabili avrà la prima banca europea (4.800 miliardi di euro di total asset), controllante di Bnl in Italia e azionista strategica incrociata di Axa.

Tornando in Spagna, non si annuncia ordinario neppure il test per il Bbva, tradizionale rivale del Santander. Al Bilbao il check up Eba ha diagnosticato una debolezza da 6,6 miliardi e il Banco ha un solo azionista rilevante noto. La holding galiziana Inveravante detiene un 5% «dormiente» dopo un tentativo di scalata «madrilena» da parte del gruppo Sacyr. Un blitz violentemente bloccato dal management Bbva, che non ha del tutto reciso i legami con l'originario milieu finanziario e imprenditoriale di Bilbao. Molti interessi baschi sono rimasti in quel 20% del capitale frazionato in mano a «investitori privati residenti in Spagna». È vero che al timone del Bbva non c'è più da tempo il leggendario Pedro Uriarte, divenuto Ceo dopo essere stato primo "ministro delle finanze" dei Paesi Baschi autonomi. Però anche il caso Bbva conferma che i localismi bancari in Europa non sono solo appannaggio delle Fondazioni o delle Popolari italiane: non fosse altro che per quell'influente 2,5% in mano ai dipendenti. Certo il Bbva ha un grosso vantaggio sull 5 big italiane: capitalizza da solo in Borsa più di tutte loro assieme.

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