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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2012 alle ore 08:19.

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UniCredit recupera in Borsa con i diritti che volano di oltre l'80%. Nel secondo giorno dall'avvio dell'aumento di capitale da 7,5 miliardi, torna un po' di sereno sulle quotazioni di piazza Cordusio. I titoli hanno guadagnato il 6% a un prezzo di riferimento di 2,42 euro, dopo una perdita del 45% registrata nelle ultime quattro sedute. Meglio hanno fatto i diritti che hanno segnato un balzo dell'80,85% a 0,85 euro. Il recupero si è visto fin dalle prime battute della seduta con ordini massicci da parte di investitori istituzionali. Non a caso i volumi hanno interessato 230 milioni di azioni, pari a circa il 12% del capitale, con ordini che hanno interessato soprattutto investitori Uk e dell'Europa Continentale, con prevalenza di Francia e Germania.

Quanto basta per riportare la capitalizzazione complessiva della banca a 6,3 miliardi di euro circa (solo le azioni valgono 4,672 miliardi di euro), quasi la metà rispetto ai 12,2 miliardi del 3 gennaio, prima dell'annuncio dei termini dell'operazione di aumento di capitale (prezzo a 1,943 euro).

Prezzi stracciati, certo, ma non da far temere possibili take over sulla banca: «Il rischio di scalata di UniCredit è abbastanza remoto», ha chiarito il direttore generale Roberto Nicastro a margine di un incontro a Palermo. Nicastro ha ricordato che lo statuto della banca limita al 5% il diritto di voto in assemblea al di là delle azioni detenute e che «la Banca d'Italia ha tutti gli strumenti per evitare assunzioni di partecipazioni oltre il 10%». «È chiaro – ha proseguito Nicastro – che stiamo monitorando l'andamento del titolo che mostra una volatilità che non ci aspettavamo, ma i fondamentali della banca sono buoni e il Tier1 è positivo».

Le forti oscillazioni in Borsa, del resto, sembrano rispondere sostanzialmente a movimenti tecnici. È infatti conveniente alleggerirsi sui titoli e comprare nuovi diritti, non a caso lo sconto sui diritti si è ridotto ieri all'11% dal 30% della vigilia: alla chiusura di ieri, per esempio, comprando il diritto, sottoscrivere un'azione costa 2,368 euro, meno dei 2,424 euro segnati dal titolo a fine seduta. Ma c'è anche chi, come avvenuto nei giorni scorsi, ha preferito vendere azioni e diritti per poi puntare a ricoprirsi nei prossimi giorni scommettendo su valori ancora più bassi. Tutte operazioni che – si fa notare – coinvolgono non solo investitori speculativi ma anche soci stabili della banca che cercano di mettere in piede operazioni più sofisticate per spuntare termini convenienti. La Regione siciliana e la Fondazione Banco di Sicilia, per esempio, azionisti di piazza Cordusio con lo 0,4 e lo 0,5 per cento, stanno vendendo i diritti d'opzione sul mercato con l'obiettivo poi di reinvestire sul titolo una quota parte degli introiti. E probabilmente non sono casi isolati.

Tra le banche del consorzio, ad ogni modo, sembra esserci un cauto ottimismo sull'andamento dell'operazione. Certo le dimensioni sono rilevanti e la situazione dei mercati è alquanto complessa, ma le attese sono di una risposta positiva da parte del mercato. Del resto almeno sul fronte dei soci stabili gli impegni, tra vincolanti e non, ammontano a circa il 24%, più o meno 1,8 miliardi. Tra gli azionisti storici mancano ancora all'appello il fondo di Abu Dhabi Aabar (4,99%) e la Lybian Investment Authority (2,59% del capitale). E non hanno ancora sciolto le riserve Cassamarca (0,7%) e CrTrieste (0,33%) che riuniranno i rispettivi organi per decidere sull'adesione all'aumento il 17 (Cassamarca) e domani (Cr Trieste). Tra le altre fondazioni Manodori (0,79%) sarebbe orientata per un impegno parziale. Mentre gli investitori riuniti dalla Alessandro Proto Consulting hanno annunciato l'adesione per la loro quota, pari allo 0,8% e non escludono altri acquisti.

Restano, dunque, altri 5,7 miliardi da reperire sul mercato. BofA Merrill Lynch e Mediobanca sarebbero da tempo al lavoro per cercare investitori in Italia, ma anche all'estero e colloqui ci sarebbero con alcuni fondi sovrani. Sul territorio nazionale, peraltro, sarebbero stati contattati diversi gruppi privati di spicco, tra cui anche la Fininvest e i Malacalza.

In attesa di risposte certe, non mancano le polemiche: l'Adusbef ha affidato ai propri legali l'incarico di studiare la possibilità di una class action e di un'azione di responsabilità contro i manager di UniCredit e la Consob, per «le modalità capestro di aumento di capitale, penalizzanti per i piccoli azionisti».

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