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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2012 alle ore 08:21.

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Centocinquanta milioni di euro e ci si compra il 10% del Banco Popolare. Con poco più di 200 milioni si diventa il secondo socio di peso, alle spalle della Fondazione, del Monte dei Paschi di Siena. E con meno di 300 milioni si diventa azionista, ben sopra il 10%, del gruppo Ubi Banca. E queste sono le prime banche italiane subito dopo i due big Intesa Sanpaolo e UniCredit.

Per Intesa che vale tutta quanta sul mercato solo 18,4 miliardi di euro, si compra l'1% del capitale con pochi spiccioli, 184 milioni. Spiccioli appunto se paragonati ai 400 e passa milioni che Rotelli sborserà per lo shopping sul pluri-indebitato San Raffaele. Che un ospedale oggi sull'orlo del fallimento ma dall'antico blasone possa valere più di una banca? Eppure è così. Colpa o meglio conseguenza del crollo di valore dei titoli bancari italiani dell'ultimo anno, quel 2011 che è stato epicentro della tempesta finanziaria che ha imperversato sull'area dell'euro e dei suoi Paesi deboli.

Rischio colonizzazione finanziaria
Il rimpicciolimento oltre ogni immaginazione del valore di mercato degli istituti di credito non ha particolari effetti sui clienti. Ce li ha ovviamente sugli azionisti di lungo corso, grandi soci in particolare, che contano minusvalenze potenziali da brivido sui loro investimenti. E con loro soffrono centinaia di migliaia di piccoli azionisti. Recuperare perdite, solo nel 2011 superiori al 50%, vuol dire aspettare che i titoli raddoppino le quotazioni odierne. Di questi tempi ci vorranno anni. Ma l'altra conseguenza è che ci si ritrova asset bancari iper-svalutati e quindi possibile preda di grandi protagonisti stranieri della finanza. Banche e assicurazioni che potrebbero rilevare a prezzi davvero da saldo pezzi importanti del nostro sistema bancario.

Certo è un'orizzonte più teorico che pratico. Il sistema bancario vive sotto stretta regolamentazione e giova ricordare che occorre l'assenso di Banca d'Italia per acquisire quote di capitale delle singole banche sopra il 10%. Difficile che possano avvenire scalate ostili sulla maggioranza del capitale. Ma di certo in Europa c'è più di un grande protagonista che qualche pensiero (e qualche conto) lo sta facendo.
Anche perchè una cosa sono i valori di mercato (iper-compressi in questa stagione difficilissima) un'altra i valori reali. E qui la sproporzione è eclatante.

Valori di mercato senza senso
Il miliardo e mezzo che oggi vale in Borsa il Banco Popolare ha ben poche corrispondenze con il valore del capitale che è di quasi dieci volte più grande. Il patrimonio netto della banca guidata da Pierfrancesco Saviotti assomma a 11,8 miliardi. Mps ha capitale netto in bilancio per 16,5 miliardi contro un valore di tutte le azioni emesse per soli 2,25 miliardi. Per non parlare di UniCredit oggi a 4,9 miliardi di valor di Borsa (che diventeranno quasi 13 miliardi a fine aumento di capitale). Quei 13 miliardi di Piazza Cordusio sfigurano a fronte di capitale a bilancio per oltre 52 miliardi. E la stessa Intesa Sanpaolo, ritenuta dall'Eba già in linea con i coefficienti patrimoniali, quota solo il 32% del valore del patrimonio netto iscritto nei conti.

Le big five quotano meno di 35 miliardi
Tutte insieme le prime 5 banche del paese, più l'unica grande banca d'affari cioè Mediobanca valgono per la Borsa poco più di 30 miliardi (che saliranno plausibilmente verso quota 38 post-aumento patrimoniale di UniCredit). Ma valgono come puro capitale 156 miliardi di euro, ben quattro volte di più. E chi entrasse oggi si comprerebbe con pochi spiccioli parte di quel capitale. L'obiezione è che quel capitale può erodersi. Accadrà solo se le banche chiuderanno con perdite i bilanci del 2011 e del 2012. Solo perdite sul conto economico possono mangiarsi pezzi di capitale.

E le banche italiane hanno un sacco di problemi, ma non si prevedono chiusure di bilanci con segni di profondo rosso. I problemi sono le attività tipiche in rallentamento e il cumulo di sofferenze che andranno ancora svalutate, ma non al punto tale da prospettare sconquassi sui pur pochi profitti che si andranno a realizzare. E allora quel valore è reale. Non è percepito, è snobbato, ma c'è. Per dare un'idea delle sproporzioni tra valori reali e valori di mercato basti pensare che il solo Santander vale da solo più di tutte le big five italiane più Mediobanca. E il suo patrimonio è la metà della somma dei capitali delle italiane.

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