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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 10:29.

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Non avvenne per Vincenzo Maranghi quando fu licenziato da Mediobanca e neppure per Alfonso Desiata quando subì la stessa sorte alle Generali. Avverrà invece per la famiglia Ligresti (il patron Salvatore ed i figli Jonella, Giulia e Paolo) la cui partenza dalla Fondiaria Sai verrà addolcita da un viatico dal valore non proprio simbolico. Un patto quinquennale di non concorrenza grazie al quale Unipol verserà a ciascuno dei suoi componenti 700mila euro l'anno. Fatti i conti sono in tutto 14 milioni, si spera lordi. La compagnia bolognese - recita il comunicato diffuso ieri - «ha ottenuto dalla famiglia Ligresti» l'impegno «a non avvalersi dei loro consolidati rapporti con la rete agenziale e la clientela del gruppo Fonsai». Di fronte ad un simile pericolo il gruppo di Bologna, gente concreta che sa ponderare i rischi, non ha lesinato. Del resto anche Fondiaria Sai ha sempre trattato i Ligresti, per così dire, con la stessa moneta. Nel 2008, ad esempio, Jonella Ligresti ha incassato compensi per 4,4 milioni superiori a quelli dell'Ad di Generali Giovanni Perissinotto (2,4 milioni) e del presidente di Axa Henry de Castries (3,3 milioni). Per non parlare dei 21 milioni di consulenze che la compagnia ha pagato a Salvatore Ligresti nel triennio 2008-2010.
Normalmente i patti anticoncorrenziali vengono sottoscritti da manager operativi che, uscendo dall'azienda, possono essere ingaggiati da competitor che utilizzano la loro esperienza. I Ligresti invece, con l'eccezione di Jonella, non svolgevano incarichi operativi nel core business assicurativo del gruppo. Ma non si può negare - si potrebbe obiettare - che abbiano avuto un'influenza determinate sul loro gruppo. Già, il punto sta proprio lì. Per come è andata a finire, andandosene, avrebbero dovuto essere remunerati con un "patto di concorrenza". Forse, per la fretta, ai bolognesi è scappato un "non" di troppo.
R.Sa.

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