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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2012 alle ore 08:02.

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Anche ieri i mercati hanno dimostrato un'egregia propensione all'indifferenza nei confronti di avvoltoi, becchini e malaugurati scenaristi dell'ultima ora (vedi le agenzie di rating & C.). Wall Street ha guadagnato un onestissimo punto percentuale, preceduta da una brillante performance del Brasile (+1,34%), star del firmamento emergente, anche se considerata in euro(da inizio anno, +15,19%).

L'Europa è stata più incerta, con l'Eurostoxx 50 che ha chiuso a -0,25% mentre Atene ha guadagnato il 2%. L'euro ha rialzato la testa sul dollaro dopo 6 settimane di calo, ma è bene aspettarsi ulteriori fasi di debolezza. L'asta portoghese è andata bene, ma di pregevole fattura è stata soprattutto la performance dei BTp, il cui spread sul bund si è stretto di 8 punti base a 463 punti dopo aver toccato un minimo di 450 punti. Con la Grecia sull'orlo del default, lo stallo politico sul fondo salva-Stati, i downgrade di rating e la linea dura della Germania nei confronti dell'Europa «povera», resta difficile spiegarsi perchè il mercato sia così baldanzoso. Forse, dicono alcuni, è perché cominciano a prevalere due tipi di ragionamento: il primo è che la Bce sta lavorando bene e l'autorevolezza di Draghi avrà un peso crescente sulla ledership europea; il secondo è che le agenzie di rating non stanno davvero più al passo con la crisi.

Perché quella che il mondo occidentale sta vivendo dal 2007 non è una tipica crisi finanziaria, né una contrazione economica di quelle viste nel corso della seconda metà del secolo scorso. Anche se non c'è stata una recessione formale in questi ultimi due anni, il feeling della gente comune negli Stati Uniti e in molte parti d'Europa è quello di recessione sostanziale nei loro stati patrimoniali. Questo perché stiamo vivendo una «recessione di stato patrimoniale», in cui i valori degli asset si riducono e gli operatori privati (siano essi consumatori o imprese o banche) procedono a un progressivo deleverage nonostante tassi ufficiali a livelli minimi.
Sui bilanci «aggregati» nazionali si stanno accumulando enormi quantità di denaro che sono «stallate» nel sistema interbancario, senza riuscire a rientrare nell'economia: manca il «borrower of last resort», ovvero i Governi, che spendano in ottica anti-ciclica le risorse che l'economia nazionale sta risparmiando.

Ed ecco forse spiegata anche la migliore performance economica relativa attesa della Gran Bretagna rispetto all'area euro: loro, la fiscal austerity, la stanno posticipando al ciclo economico che partirà a fine anno. In questo modo, gli stabilizzatori automatici possono ancora funzionare bene, soprattutto se accompagnati da una politica monetaria ultra-accomodante.
Ecco perché a nessuno importa più dei voti e delle agenzie di rating: il concetto di «recessione di stato patrimoniale» non è nel loro vademecum e l'esperienza giapponese (e quella recente negli Stati Uniti e in Europa) insegna che il mercato sta già prendendo dimestichezza con l'argomento e probabilmente gli operatori reagirebbero bene a un chiaro piano di sostenibilità fiscale con riduzioni dello stock e del deficit nel corso degli anni, lasciando in campo alcune politiche anti-cicliche a sostegno dell'economia reale nel breve. Non a caso, i tassi pagati dagli investitori per acquistare debito inglese sono oggi ai minimi storici. Sarebbe interessante sapere che cosa ne pensa Monti.

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