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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2012 alle ore 07:58.
Mentre sui titoli di Stato spagnoli e italiani torna un po' di fiducia, mentre le Borse toccano i massimi degli ultimi sei mesi, in Europa c'è un Paese che senza dare troppo nell'occhio sta finendo alla deriva: il Portogallo. Le vendite sui titoli di Stato di Lisbona nelle ultime settimane sono state così violente, che i rendimenti quinquennali sono ormai vicini al 18% e quelli decennali al 14 per cento.
Questo significa che Lisbona, se volesse raccogliere finanziamenti decennali, sarebbe costretta a pagare tassi d'interesse quasi 12 punti percentuali superiori a quelli tedeschi. Insomma: il Paese rischia di sprofondare in una nuova crisi di liquidità. O nell'insolvenza.
Ne è convinto Antonio Saraiva, presidente della Confindustria portoghese: a suo avviso il Paese ha bisogno di nuovi aiuti internazionali. Almeno 30 miliardi, a suo dire, che si sommerebbero ai 78 già ottenuti. Il primo ministro Pedro Passos Coelho lo nega ufficialmente: «Il Portogallo ‐ ha affermato ‐ non chiederà né di rinegoziare gli attuali aiuti, né di ottenerne altri». Il mercato, però, crede poco alle sue parole. Per due motivi. Uno: il Governo di Lisbona ha negato che avrebbe chiesto aiuti anche nel 2011, quando poi li ha effettivamente chiesti. Due: i dati che arrivano dall'economia portoghese lasciano poco spazio all'ottimismo.
Il Portogallo, per certi versi, ha infatti guai più seri di quelli della Grecia. Se Lisbona ha un debito pubblico più controllato, stimato dal Fondo monetario al 116,3% del Pil nel 2012 contro il 140% di Atene, è sul fronte privato che non regge. Le famiglie (stima la Bri per fine 2010) sono oberate da un debito pari al 106% del Pil: il doppio rispetto al 65% greco o al 53% italiano. Le imprese (calcola sempre la Bri) hanno sulle spalle un debito pari al 153% del Pil: ben più del 65% greco o del 128% italiano. Basti vedere l'esempio della più grande utility del Paese: la Energias de Portugal che ha debiti per 16 miliardi, quasi 5 volte la sua capacità di produrre reddito.
«In Portogallo l'intera economia è piena di debiti ‐ osserva Silvio Peruzzo, economista di Rbs ‐ lo stress finanziario va ben oltre lo Stato». Questo significa che non solo il Governo fatica a trovare finanziamenti: tutti sono alla canna del gas. Un problema enorme, considerando il fatto che per il Portogallo si stima una recessione del 3% quest'anno.
E se l'economia vacilla, non possono che stare male anche gli istituti di credito. In Portogallo si è replicato il modello Atene: le banche sono andate a sostegno del Governo accumulando montagne di titoli del debito pubblico. Caixa Geral ne possiede per 7,5 miliardi; il Banco Commercial per 7,8. Solo le prime quattro banche hanno in pancia bond portoghesi per 23 miliardi. Un valore che supera ampiamente il loro capitale. Quei bond valgono in media la metà sui valori d'acquisto: vuol dire mettere a bilancio quasi 12 miliardi di perdite, che il sistema creditizio non potrebbe certo sostenere. Stesso discorso per le aziende a partecipazione pubblica: quando le banche internazionali hanno smesso di finanziarle, sono intervenute quelle locali. Concentrando sulle loro spalle ulteriore rischio-Portogallo.
Tutto questo rende la situazione, secondo molti osservatori, insostenibile: qui è l'intera economia del Paese a rischiare l'insolvenza. E, sebbene si tratti di uno Stato piccolo, questo potrebbe essere un grosso problema per l'intera Europa: da mesi le autorità (Bce in primis) sostengono che il caso greco resterà isolato ma la deriva portoghese rischia di smentirle. E di gettare nuovo panico sui mercati. Tra l'altro anche l'Eurotower soffrirebbe. Le stime di Barclays Capital aggiornate al 9 gennaio (prima dell'ultimo declassamento di rating e quindi in difetto) parlano di 5 miliardi di perdite (se Bce dovesse valutare a prezzi di mercato) sui 20 miliardi di bond portoghesi posseduti dalla Bce. Speriamo che gli investitori internazionali, ora inebriati dalla super liquidità, non se ne accorgano.
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