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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2012 alle ore 06:45.

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MILANO. Quello di ieri a Bologna è stato un confronto serrato che ha visto sedute attorno a un tavolo le storiche Fondazioni azioniste di UniCredit. Si è trattato tuttavia solo di un primo vertice esplorativo al quale ne seguiranno molti altri, vista la delicatezza del tema trattato. La questione al centro del dibattito, con i grandi soci da un lato, ossia Fondazione Crt (3,3% del capitale), Cariverona (3,5%) e Carimonte, e i piccoli dall'altro con Dino De Poli (Cassamarca) promotore dell'incontro, è stata il futuro assetto di governance della banca, ora che gli enti minori temono di perdere la presa sul governo della banca vista la diluizione post aumento di capitale che li vedrà ormai tutti sotto l'1 per cento.

A rendere necessario il confronto hanno contribuito almeno due elementi: la nuova mappa azionaria di Piazza Cordusio post-aumento di capitale, che ha visto ridursi il peso delle Fondazioni poco sopra il 10% dal precedente 13% (e il contemporaneo ingresso di nuovi soci forti esteri) e la prossima assemblea di approvazione del bilancio 2011 che all'ordine del giorno prevede il rinnovo delle cariche sociali. Un rinnovo rispetto al quale sono diversi gli aspetti ancora da chiarire. Da un lato c'è la questione Dieter Rampl.

L'attuale presidente è espressione di un azionariato ormai scomparso dai registri della banca: salvo Allianz, entrato tra l'altro nel capitale ai tempi della acquisizione di Ras, non figura alcun socio tedesco tra gli azionisti rilevanti. È anche vero tuttavia che tra la vasta platea dei soci di Piazza Cordusio, in particolare tra le grandi fondazioni, c'è chi avrebbe apprezzato alcuni aspetti dell'operato del presidente negli ultimi anni, pur sempre caratterizzati da una crisi finanziaria senza precedenti.

Al contempo, oltre alla questione Rampl, c'è da considerare come garantire adeguata rappresentanza ai soci privati che hanno appena fatto ingresso nel capitale, come Francesco Gaetano Caltagirone, Diego Della Valle, o a quelli già presenti che ne hanno accresciuto o mantenuto il peso, ossia Leonardo Del Vecchio e Luigi Maramotti. Se Caltagirone e Della Valle non potranno entrare direttamente nel board per incompatibilità con le cariche che già ricoprono in Generali, di sicuro puntano ad aver un certo peso nella governance.

Mentre contemporaneamente le piccole fondazioni azioniste, come CrTrieste, Banco di Sicilia e Manodori, sebbene storiche, hanno limato a tal punto la presenza nel capitale che difficilmente potranno sperare di vedere nuovamente assicurato quello che oggi hanno, ovvero quasi un rappresentante a testa nel board. Tanto più visto l'auspicio espresso di recente dal management di ridurre i componenti del consiglio di amministrazione.

In virtù di tutto ciò, il summit di ieri è servito, oltre che per raccogliere lo "sfogo" delle piccole fondazioni, preoccupate di essere messe da parte, anche per avviare un confronto sulla possibilità di coagulare in un'unica lista i desiderata dei principali soci, compreso il fondo sovrano Aabar, forte del proprio 5%, e i libici, pur sempre al 4%. Una lista che raccolga, magari, anche l'appoggio esterno dei grandi fondi americani come Blackrock e Capital Research.

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