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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2012 alle ore 06:44.


Fitch dà una sforbiciata al rating di diverse banche italiane. L'agenzia ha concretizzato il dowgrade nella serata di ieri, a mercati chiusi. In particolare, la società controllata dal gruppo francese Fimalat ha ridotto il merito di credito a cinque istituti: il Monte dei Paschi e il Banco Popolare sono scesi da «BBB+» a «BBB»; Iccrea Holding (Istituti di credito cooperativo) ha visto il suo voto abbassarsi dal precedente «A-» a «BBB+»; una riduzione identica è toccata in sorte a Ubi Banca. Infine, Fitch ha tagliato il rating di Intesa San Paolo: da «A» è passato a «A-».
Al contrario, sono rimasti invariati i giudizi su altri tre istituti di credito: UniCredit, la Banca popolare di Sondrio e il Banco di Desio hanno visto confermato il loro rating al livello di «A-».
Il passo, a ben vedere, era scontato: la stessa Fitch, il 27 gennaio scorso, aveva abbassato il merito di credito dell'Italia da «A+» ad «A-», con prospettive «negative». Così, dopo il giudizio sul sistema Paese è arrivato quello sul comparto bancario.
Al di là delle diverse valutazioni sulle singole banche (cui è stato tolto il rating watch negativo), Fitch sottolinea che «visto lo stretto legame tra istituti di credito e rischio "sovrano"», i fattori alla base del downgrade sull'Italia sono gli stessi che hanno influenzato la riduzione di ieri.
Quale, allora, il ragionamento dell'agenzia? È presto detto. La pressione sul «funding e sulla liquidità dei gruppi italiani – afferma Fitch – durante l'ultimo trimestre del 2011 era aumentata». Uno "stress", a ben vedere, ridotto in seguito al maxi finanziamento (l'1% per tre anni) messo in campo dalla Banca centrale europea. In particolare, sottolinea Fitch, «l'accesso al prestito» di Eurotower è stato facilitato dall'abilità delle banche nell'emettere i bond garantiti dal governo e da usare, poi, come collaterale nella maxi-asta stessa.
Una situazione che, a fronte del basso costo di questa strategia di raccolta, potrà sì «alleviare in parte il costo del funding nel breve periodo». Tuttavia, obiettano gli analisti di Fitch, non è sufficiente: le banche italiane, infatti, affrontano da un lato un accesso al mercato «all'ingrosso meno prevedibile»; e, dall'altro, costi strutturalmente più alti nell'attività di raccolta sia wholesales che retail.
A ciò deve aggiungersi il contesto congiunturale in cui operano. Secondo Fitch, l'economia italiana nel 2012 dovrebbe contrarsi dell'1,7 per cento. Mentre, nel 2013, il Prodotto interno lordo è previsto crescere solamente dello 0,2 per cento. In un simile scenario la profittabilità degli istituti di credito, giocoforza, sarebbe «indebolita e sottoposta ad ulteriori pressioni». Non tutti, nel mercato, condividono una simile previsione. Sarà il tempo, ovviamente, a dire chi avrà avuto ragione. Per l'intanto ieri, a Piazza Affari, il Ftse italian bank ha chiuso in calo dello 0,13 per cento. (+18,04% da inizio anno). Una performance, più o meno, replicata a livello europeo: lo Stoxx 600 bancario dal primo gennaio è salito del 17,8% (-0,48% il ribasso nell'ultima seduta).
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