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Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2012 alle ore 16:35.

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Dopo la SuperEdipower, promossa dall'assessore al Bilancio del Comune di Milano Bruno Tabacci, spunta il progetto "Maxi-holding" delle utility che vedrebbe, sul modello di quanto avvenuto 20 anni fa per le Fondazione bancarie, un intervento diretto del Governo per ridurre drasticamente il controllo sulle ex municipalizzate.

Entrambi i piani sono sul tavolo dei sindaci del Nord - dal milanese Giuliano Pisapia al bresciano Adriano Paroli (per A2A), dalla genovese Marta Vincenzi al torinese Piero Fassino (per Iren) - poiché rispondono, seppur con schemi diversi, al consolidamento dell'energia locale caldeggiato dal ministro Corrado Passera. Sul dossier sarebbe invece più prudente Hera, che fa capo ai Comuni dell'Emilia Romagna, mentre la romana Acea, per il momento, avrebbe una posizione ancora più attendista. Su un punto, tuttavia, tutti sono d'accordo: vuoi per la particolarità del Governo Monti, pronto a mettere mano con decisione ai settori chiave dell'economia, vuoi per il fresco riassetto di Edison, che ha messo in mano italiana le nove centrali di Edipower, vuoi per i Comuni alla costante ricerca di risorse finanziarie, il momento propizio per rivoluzionare il mondo dell'energia locale è finalmente arrivato.

Il piano per la Maxi-holding, messo nero su bianco da una primaria banca d'affari, prevede uno schema semplice e imperniato su un intervento diretto del Governo che, c'è chi ipotizza addirittura per legge (magari prevedendo anche un sistema di incentivi), potrebbe spingere gli enti locali a conferire in una newco le quote di controllo detenute nelle ex municipalizzate. Il progetto, ricostruito dal Sole 24 Ore, prevederebbe sì l'aggregazione tra le singole società ma anche la creazione di una holding quotata in Borsa che farà capo al nuovo gruppo. In questo modo, i Comuni potranno giocare la partita in prima persona, evitando personalismi a livello manageriale mentre la holding, svincolata da logiche di campanilismo, sarà caratterizzata da una governance snella con un capo azienda di standing internazionale e una quota pubblica di massimo il 30%. Il resto del capitale verrebbe destinato a terzi nel contesto di un'operazione market-friendly con lo sbarco a Piazza Affari e il possibile ingresso di un operatore infrastrutturale come F2i.

I Comuni, inoltre, potrebbero fare cassa vendendo le quote in eccesso nella newco che oggi, in Borsa, farebbe capo a un colosso (unendo le capitalizzazioni di A2A, Iren, Hera, Acea, Acegas e Ascopiave oltre al valore di Edipower) da circa 8 miliardi. Il nodo resta il debito aggregato che, solo considerando A2A, Iren ed Edipower, sarebbe attorno a 7,5 miliardi a meno di interventi. Al proposito, non è da escludere che A2A, per cui il neopresidente Giuseppe Sala ha definito i prossimi mesi come «un periodo decisivo», possa esaminare un ampio ventaglio di interventi. La partecipazione in Montenegro potrebbe essere oggetto di riflessione visto il potenziale interesse di alcuni operatori europei del settore così come sarà valutata la strategicità delle centrali meno efficienti di Edipower (San Filippo del Mela e Brindisi). Il tutto con un obiettivo che Renato Ravanelli, direttore generale e guida operativa dell'azienda, e Sala hanno ben chiaro: limare l'attuale posizione finanziaria netta che, consolidando Edipower, sfiora 5 miliardi.

Proprio l'abbattimento del debito rappresentava uno dei principali vantaggi garantiti dell'altro piano per la grande multiutility, ovvero la SuperEdipower. Le tecnicalità, tuttavia, inizierebbero a generare qualche perplessità tra gli addetti ai lavori e anche in seno all'amministrazione torinese. Conferire le centrali e il debito a Edipower permetterebbe sì di alleggerire la posizione finanziaria, ma di fatto svuoterebbe le società quotate alle quali resterebbero attività regolate a basso margine e meno appetibili per i soci. In altre parole, la SuperEdipower diventerebbe, osservano alcuni, una Enel 2 che cannibalizzerebbe, specie se quotata in Borsa, le ex municipalizzate.

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