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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2012 alle ore 08:18.

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L'attenzione, ieri, si è concentrata sul Dow Jones: le «vecchie» Blue Chip hanno raggiunto un valore che non toccavano dal maggio 2008. E tuttavia, un'altra storia ha attirato l'interesse degli investitori più esperti. Quale? La performance del Wilshire5000, cioè l'indice che rispecchia il valore composto di tutte le pubblic company quotate negli Usa. Ebbene, considerando il re-investimento dei dividendi, Mark Hulbert ha calcolato che il paniere è arrivato non lontano dal suo massimo storico del 9 ottobre 2007. Certo, nel calcolo sono comprese le cedole.

Tuttavia, la rimonta di Wall Street è incredibile. Quasi che la parola crisi possa archiviarsi alla voce: passato remoto. Le cose stanno realmente così? Non proprio. Per accorgersene basta dare un'occhiata alla composizione della ricchezza degli americani. Spulciando tra i dati della Fed, salta fuori che, alla fine del 2008, il valore delle azioni in loro possesso era di circa 9.000 miliardi di dollari. Un "tesoro", nel 2011, balzato a oltre 14.000 miliardi. Il trend, però, non è confermato nell'immobiliare: il mattone, posseduto 4 anni fa da Mr Smith, valeva circa 20.000 miliardi; nell'ultima rilevazione disponibile si attestatava, invece, a quota 18.000 miliardi. Cioè, la crescita dei listini ha sì gonfiato il portafoglio del patrimonio di carta (le azioni) ma non quello degli asset reali (l'immobiliare).

È ancora inceppato, insomma, il meccanismo di trasmissione della ricchezza dalla Borsa all'economia reale. Certo, la disoccupazione statunitense sta calando e le stime sul Pil Usa sono migliori rispetto all'Europa. Inoltre, le trimestrali incorraggiano. Tutti elementi, peraltro, pienamente riflessi nella differenza di performance tra Wall Street e le Borse Ue. E tuttavia, non può negarsi che il propellente ai listini sia ancora e soprattutto la liquidità. Il cash elargito dalle banche centrali è il motore del rally: prima negli Usa, con il Qe; poi, in Europa con i vari Ltro della Bce. È un film in replica. La speranza? Il finale diverso: cioè, non appaia sulla scena un nuovo Cigno nero che faccia cadere il castello di carta e costringa ad altri interventi socio economici. Le attuali manovre deflattive nell'Ue, da sole, già rischiano di trasformare la recessione in qualcosa di peggio.

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