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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2012 alle ore 08:03.

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Un sorpasso in retromarcia, ma pur sempre un sorpasso. Da ieri i titoli di Stato italiani possono offrire rendimenti più bassi di quelli spagnoli per attirare gli investitori, anche sulla scadenza dei 10 anni convenzionalmente più seguita dagli operatori. Alla chiusura di ieri i BTp decennali rendevano infatti il 4,94% rispetto al 4,98% dei Bonos: per gli uni e gli altri non è stata certo una giornata favorevole (venerdì il tasso di entrambi segnava 4,92%), ma ora Madrid soffre più di Roma e questo è il dato di fatto.

La tendenza delle ultime settimane è infatti piuttosto chiara: la distanza nei confronti del Bund tedesco, il cosiddetto spread, si è progressivamente ridotta (ieri 310 punti base per i BTp e 314 per i Bonos), ma l'atteggiamento del mercato verso i due Paesi è mutato in modo radicale e gli sguardi più critici si sono spostati verso la penisola iberica. In fondo, è come se Italia e Spagna, cioè i due Stati più importanti in Europa con problemi di crescita e di bilanci pubblici, si siano di nuovo passati il poco invidiato testimone di «maggior incognita» sul futuro dell'Eurozona.

Facendo un passo indietro a un periodo che pare ormai molto lontano, ma che in fondo risale soltanto a meno di 2 anni fa, si scopre che in realtà i titoli spagnoli hanno mediamente goduto di un «premio» rispetto a quelli italiani. Una conseguenza del maggior peso del debito pubblico di casa nostra (120% contro 68% sul Pil) che si riflette anche in un giudizio più elevato da parte delle agenzie di rating (tuttora la Spagna conserva rispetto all'Italia un «notch» di vantaggio per Fitch e due secondo S&P).

Il primo sorpasso risale alla primavera 2010, quando nell'ideale catena del contagio del virus del debito europeo la Spagna viene vista dal mercato come la quarta tessera del domino dopo Grecia, Irlanda e Portogallo. La crisi finanziaria ed economica che si vive a Madrid, e lo scoppio della bolla immobiliare, è decisamente più severa rispetto a quella percepita a Roma: lo spread a favore del nostro Paese arriva a sfiorare il punto percentuale poco prima che anche l'Italia sia a sua volta coinvolta nel vortice e i BTp subiscano il crollo visto a partire dalla scorsa estate.

Ora è il momento di una nuova inversione di tendenza e di un secondo sorpasso italiano. Un movimento che si spiega ancora una volta con la diversa percezione di affidabilità e solidità che si ha sul mercato: a un'Italia che, sotto questo aspetto, ha compiuto negli ultimi 3 mesi passi in avanti indiscutibili nel riconquistare la fiducia degli operatori si contrappone invece una Spagna che torna a destare forti preoccupazioni sui conti pubblici e che per di più sembra sfidare apertamente l'intera Europa provocandone la reazione (come si legge nell'articolo in questa pagina).

Al di là delle sorti derby fra Roma e Madrid (e del rimpallarsi fra i due Paesi del poco invidiato ruolo di «mina vagante» dell'Eurozona), l'essenziale è riuscire a individuare i movimenti futuri degli investitori e capire se il ciclo virtuoso degli spread sia in grado di proseguire. Se fosse avvenuta in un contesto di mercato differente, la revisione del deficit/Pil per il 2012 annunciata venerdì scorso dal premier spagnolo Mariano Rajoy avrebbe probabilmente provocato terremoti simili a quelli dei mesi passati.

Ma l'iniezione di liquidità della Bce, quegli oltre mille miliardi di euro (500 dei quali di «nuova» immissione) concessi alle banche, hanno mutato radicalmente lo scenario. Ed è proprio all'impiego di quel denaro che si guarda da più parti, forse anche con eccessiva fiducia: non c'è dubbio che le banche (specie le italiane e spagnole) abbiano esercitato un ruolo da protagoniste nella normalizzazione dei tassi dei titoli di Stato, ma tutto questo potrebbe non essere sufficiente. «Nei prossimi mesi - spiegano Laurent Fransolet e Giuseppe Maraffino di Barclays Capital - questi acquisti dovranno essere affiancati e sostituiti da investimenti più a lungo termine di soggetti locali o internazionali».

Senza l'intervento di quelli che gli operatori chiamano in gergo «real money», cioè investitori istituzionali che guardano al lungo periodo, gli effetti della liquidità targata Francoforte sono prima o poi destinati a prosciugarsi. Nell'immediato la tendenza favorevole potrebbe anche proseguire anche perché, come nota Barclays, le pressioni derivanti dalle aste dei titoli governativi e dal rifinanziamento delle banche tenderanno da qui in avanti ad affievolirsi. Sarà però verosimilmente difficile assistere a un movimento ampio come quello delle ultime settimane.

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