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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 08:18.

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FRANCOFORTE - Il 2012 sarà un anno di lieve recessione dell'economia dell'Eurozona, secondo le nuove previsioni della Banca centrale europea, pubblicate ieri, con una ripresa «molto, molto graduale, direi lenta», nelle parole del presidente della Bce, Mario Draghi, e di inflazione più alta del previsto. Quest'ultimo elemento, a causa del rialzo del prezzo del petrolio e delle imposte indirette, utilizzate in molti Paesi per l'aggiustamento dei conti pubblici, farà sì che difficilmente l'istituto di Francoforte abbassi i tassi d'interesse nel prossimo futuro. La questione non è stata nemmeno discussa, come il mese scorso, ha detto Draghi in conferenza stampa.

Le previsioni di crescita della Bce sono ora di -0,1% per il 2012 (contro il +0,3 di dicembre) e dell'1,1% per il 2013, e quelle d'inflazione del 2,4% quest'anno e dell'1,6 il prossimo. Il rientro sotto il 'tetto' del 2%, atteso per la seconda metà dell'anno in corso, è rinviato all'inizio del 2013.

Il numero uno dell'Eurotower ha tuttavia notato che, mentre le prospettive economiche restano sottoposte a rischi derivanti da possibili tensioni sul debito sovrano che possono ripercuotersi sull'economia reale, oltre che da ulteriori aumenti del prezzo del petrolio, le due operazioni triennali di rifinanziamento alle banche, cui è stata fornita liquidità per circa mille miliardi di euro, sono state «un indiscutibile successo» e hanno contribuito a stabilizzare i mercati finanziari.

La palla è ora nel campo dei Governi, perché continuino l'opera di risanamento fiscale e le riforme strutturali, ha detto Draghi, e della banche, che devono sistemare i bilanci per poter riprendere a prestare a imprese e famiglie. Il capo della Bce si è detto convinto che il fiscal compact, le nuove regole fiscali dell'Eurozona, di cui è stato uno dei primi assertori, funzioneranno (nonostante la prima marcia indietro della Spagna, subito dopo la loro approvazione) e che è indispensabile che tutti accettino di cedere una parte di sovranità perché «non si può pensare che un Paese o due paghino per tutti». Sono i «pilastri della fiducia», ha detto.

Sulle operazioni di rifinanzimento della banche, Draghi ha a prima vista minimizzato la polemica con il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che gli ha inviato una lettera (e poi l'ha fatta filtrare alla stampa tedesca) lamentando l'allentamento dei criteri del collaterale fornito dalle banche in cambio dei prestiti Bce, e l'aumento dei rischi per la stessa Buba della crescente accumulazione di crediti verso la Bce (ormai arrivati a 500 miliardi di euro) nel sistema di pagamenti cross-border Target2. «Sono in eccellenti rapporti personali e professionali con Jens», ha sottolineato Draghi, affermando di non credere che il suo collega sia responsabile della pubblicazione della lettera e ribadendo la sua venerazione per la cultura della stabilità della Bundesbank. Ma oggi, ha osservato, «tutti condividiamo la stessa opinione e siamo tutti custodi della stabilità». Il presidente della Bce non ha mancato però di far notare che «siamo tutti nella stessa barca» e che «non c'è nulla da guadagnare litigando in pubblico».

Draghi ha risposto a Weidmann anche con i numeri alla mano: 460 delle 800 banche che hanno aderito alla seconda operazione sono istituti tedeschi, molti di piccole dimensioni e per importi limitati. Il che, secondo il presidente della Bce corrisponde alle intenzioni di far arrivare i prestiti anche a banche più piccole, che siano maggiormente in contatto con le piccole e medie imprese. «Ci siamo avvicinati a dove volevamo arrivare», ha sostenuto, anche se poi spetta alle banche decidere se estendere il credito. Anche l'ipotesi di una terza operazione di liquidità a lungo termine per comunque appare per il momento del tutto improbabile.

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