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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2012 alle ore 08:18.
Che cosa conviene fare a chi ha comprato BTp nell'autunno 2010, quando cioè i prezzi erano al loro livello massimo? In questo caso il consiglio tipo dei gestori è semplice: tenere duro. Se si ha fiducia sulla prosecuzione dell'allentamento delle tensioni sul debito dei periferici e dell'Italia in particolare, non ha senso né vendere i titoli di Stato in portafoglio (per non incassare minusvalenze), né comprarne altri (per non aggiungere rischio a rischio).
A meno che non si abbia urgenza di chiudere le posizioni per particolari necessità, uscire ora significherebbe incassare solo perdite in conto capitale, visto che i prezzi dei BTp si trovano ancora al di sotto della loro parità. Solo per fare un esempio, il decennale italiano con scadenza marzo 2021 quotava 100,4 l'8 ottobre 2010.
Da allora il suo valore è crollato fino a 77,87 nel novembre 2011 per tornare ieri a quota 94. Solo se si ipotizzasse di aver reinvestito le cedole nello stesso BTp oggi ci si ritroverebbe sopra la parità, come segnalano i dati soprastanti. Certo è che se si è riusciti a evitare di uscire nei mesi scorsi, quando la crisi dei bond italiani era all'apice, sarebbe poco ragionevole farlo proprio ora che le nuvole sul debito italiano si stanno diradando. Questo non significa essere ottimisti a prescindere. «Gli spread del passato, quando il differenziale di rendimento con la Germania era bassissimo, non li rivedremo più», conferma Fabrizio Fiorini, direttore investimenti Aletti Gestielle. Ciò però non significa che all'investitore debba comunque toccare una sconfitta. Qualora i prezzi dei BTp non dovessero tornare in parità, una compensazione arriverebbe sicuramente dal flusso cedolare. E alla fine il bilancio potrebbe essere comunque positivo. Sempre a patto che, ovviamente, la credibilità dell'Italia sui mercati continui ad aumentare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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