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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2012 alle ore 06:41.

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Si è riaccesa l'attrazione fatale per il mercato a stelle e strisce? Negli ultimi tempi non è cambiato molto nell'alternanza di dati positivi e negativi tipica, con la sua abbondanza, dell'economia statunitense. La caratteristica principale del quadro resta l'incertezza. Tuttavia, in questa fase sembrano prevalere indicazioni di natura più "qualitativa" e dunque rappresentative di un sentiment nei confronti di Wall Street che sta forse modificandosi. Limitandosi alle ultime settimane, due segnali chiari sono arrivati da fonti tanto autorevoli quanto distanti tra loro come Ben Bernanke e Sergio Marchionne.
Durante un'audizione davanti al Senato degli Stati Uniti il governatore della Banca centrale americana ha spiegato che la Federal Reserve farà di tutto per evitare che la crisi in Europa comporti ripercussioni sul sistema economico e finanziario degli Usa. Per completezza, va però ricordato che nella stessa sede Bernanke ha spiegato che la ripresa americana è ancora «lenta in modo frustrante» e che la priorità assoluta deve essere l'adozione di politiche fiscali in grado di stabilizzare prima, e ridurre poi, il debito pubblico. Concetti ribaditi qualche giorno dopo da un comunicato della Federal Reserve, che ha giudicato l'economia degli Stati Uniti in «moderata espansione», sebbene «il tasso di disoccupazione resti elevato» nonostante «alcuni indicatori segnalino un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro».
Proprio il debito pubblico rappresenta un elemento centrale anche nella valutazione dell'amministratore delegato della Fiat. Marchionne, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera alla fine di febbraio, si è dichiarato «molto ottimista» sul 2012 degli Stati Uniti. E questo nonostante il forte aumento dell'indebitamento pubblico.
Infine, nello scenario dei prossimi mesi spicca (per gli Usa come per le altre aree mondiali) la grande incognita rappresentata dal prezzo dell'energia, in particolare dalle quotazioni del petrolio. «Il primo problema che dovranno affrontare le economie occidentali e i Bric è costituito dall'ulteriore rialzo dei prezzi dell'energia determinato dall'evoluzione dei rapporti con l'Iran - spiega la nota settimanale di Bim, Banca intermobiliare di investimenti e gestioni -. Prezzi decisamente superiori a 110 dollari al barile per il petrolio Wti potrebbero anche questa volta bloccare i consumi e interrompere il ciclo virtuoso faticosamente costruito dalle Banche centrali di Usa, Europa e Giappone» (vedi anche articoli a pagina 29, ndr). Ne discende, tra l'altro, un'informazione operativa: «Reiteriamo - concludono infatti gli analisti di Bim - il consiglio di sovrappesare il settore energia soprattutto in Usa e Canada, dove vi sono in larga maggioranza aziende quotate che hanno asset petroliferi fuori dal Medio Oriente. Al momento non vi sono segnali di cedimento sui dati economici e soprattutto i vari indicatori di Pmi segnalano buone probabilità che l'espansione economica in corso negli Usa possa continuare per i prossimi mesi e le Banche centrali di Usa, Europa e Giappone sono assolutamente concentrate nello stimolare la crescita per quanto in loro potere».
Un giudizio favorevole sugli Stati Uniti viene espresso sulla base di numerosi parametri anche da Francesco Tarabini Castellani, responsabile fixed income global sales di Vontobel Bank: «Le prospettive di crescita aumentano - scrive Tarabini Castellani nella sua nota mensile -. L'occupazione continua a migliorare, la fiducia dei consumatori anche, la produzione industriale si incrementa, la richiesta di crediti di piccole e medie imprese riprende vigore, aumenta la richiesta di immobili sia residenziali che commerciali, e i prezzi cominciano a stabilizzarsi. Il programma di sostegno per i disoccupati, infine, verrà prolungato fino alla fine dell'anno».
In questo panorama, nel quale prevalgono le letture positive della situazione, in realtà non sono assenti i timori per una possibile correzione, o addirittura per la formazione di una nuova bolla nell'indice tecnologico Nasdaq, il più veloce nella sua ascesa.
«I livelli di mercato sono ormai piuttosto alti, ma gli Stati Uniti restano un buon posto per investire - ribatte Giulio Baresani Varini, responsabile wealth management di Millennium Sim. Che tuttavia aggiunge: «Personalmente credo che l'Europa sia più interessante, perché le quotazioni sono più economiche di un buon 20%». Questo però non toglie che i segnali di miglioramento in arrivo da oltre Atlantico siano così chiari: «L'economia è in ripresa. Evidentemente - conclude Baresani Varini - la cura scelta è servita, anche se rinvia al prossimo futuro il problema del grande deficit. Inoltre il 2012 è un anno elettorale e le autorità monetarie riescono a mantenere il dollaro più debole dell'euro. Ne beneficiano le aziende, che guadagnano quote di mercato e in genere sono molto liquide. I multipli di mercato sono alti (prezzi a 14-15 volte gli utili, ndr), ma quando i tassi sono praticamente a zero, come avviene ora, si può arrivare anche a quota 16-17. C'è molta liquidità in circolazione e le alternative valide di investimento sono poche».
«Dall'inizio dell'anno - aggiunge Gianni Errico, responsabile dei fondi azionari americani di Fideuram asset management Ireland - il mercato Usa è stato mosso dai dati sul mercato del lavoro, in genere positivi, e da altri indicatori macro. Inoltre le aziende hanno riportato utili in linea con le attese degli analisti. Ora è già stata percorsa molta strada e non si può escludere una correzione dei prezzi, che potrebbe arrivare anche fino al 5%, creando una buona occasione di ingresso nel mercato. Nei prossimi mesi il settore industriale può fare bene, ma è il comparto finanziario quello che potrebbe fare la differenza».

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