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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2012 alle ore 06:42.
Non si conoscono ancora le modalità con le quali Snam si staccherà dal l'Eni, ma secondo le previsioni l'operazione dovrà essere completata al più tardi entro settembre 2013. Per quella data probabilmente Snam dovrà essersi attrezzata in modo da rimborsare a Eni gli oltre 11 miliardi di finanziamenti raccolti dalla tesoreria centrale del gruppo. Operazione laboriosa (si veda articolo a fianco), ma non impossibile.
Più complicata invece la parte azionaria del distacco, anche perchè le ipotesi spendibili non sono esenti da effetti collaterali. Se verranno distribuite azioni Snam ai soci del gruppo petrolifero, al mercato (e all'azionista pubblico) non verrà chiesto di mettere mano al portafoglio, ma si potrebbero porre due ordini di problemi. L'uno è che la Cdp si ritroverebbe a essere contemporaneamente azionista di Eni e Snam, ricadendo in sostanza nella situazione Enel-Terna "censurata" ai tempi dall'Antitrust di Antonio Catricalà, che, per timore di posizioni conflittuali, aveva imposto l'uscita della Cassa dal capitale di una delle due società. Situazione, in sostanza, risolta con un scambio di quote col Tesoro, diventato azionista di riferimento dell'Enel, e la Cdp, rimasta azionista di riferimento di Terna. Soluzione che rispetta la forma, forse un po' meno la sostanza dato che Cdp, al 70%, fa sempre capo al Tesoro. Nel caso di Eni-Snam la cosa sarebbe un po' meno scontata. In Eni il Tesoro ha il 3,93% e Cdp il 26,37%, quote che, tramite scissione, si replicherebbero in Snam. Ai prezzi di Borsa attuali, il 26,37% di Eni vale 18,8 miliardi e il 26,37% di Snam 3,5 miliardi; il 3,93% di Eni vale 2,8 miliardi e il 3,93% di Snam 0,5 miliardi. L'unico scambio possibile con un minimo conguaglio sarebbe la cessione alla Cassa della quota Eni del Tesoro in cambio del pacchetto di riferimento di Snam: la Cassa consoliderebbe la presa sull'Eni, il Tesoro diventerebbe l'azionista principale della rete del gas.
L'altro problema è che gli investitori del gruppo petrolifero si ritroverebbero in mano titoli completamente differenti. Se volessero monetizzare, gli analisti calcolano che ci vorrebbero almeno dieci mesi per smaltire le vendite, con la conseguenza che Snam resterebbe sotto pressione in Borsa in un momento in cui potrebbe invece avere bisogno di utilizzare la carta azionaria per aggregazioni in chiave europea. Senza contare che con la scissione, Eni deconsoliderebbe il debito Snam, ma non incasserebbe nulla per la perdita di un asset che frutta ottimi e "sicuri" dividendi.
Nel caso di un collocamento di azioni sul mercato da parte dell'Eni si porrebbe invece il problema di come assicurare il presidio pubblico su un'infrastruttura strategica per il Paese senza appesantire le finanze dello Stato. I titoli andrebbero agli investitori di lungo periodo interessati a un quasi-bond come Snam, che però dovrebbero essere disposti ad accompagnarne la strategia di crescita all'estero. Col "rischio" di doverlo dimostrare concretamente, se si presenteranno opportunità che richiedono di dover mettere sul piatto nuove risorse.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Antonella Olivieri
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