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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 16:47.

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Goldman sotto attacco negli Usa sull'eticaGoldman sotto attacco negli Usa sull'etica

Una banca che non conosce l'etica, «un clima lavorativo tossico e distruttivo», clienti trattati come «muppets», pupazzi. Sono parole che bruciano quelle usate ieri da Greg Smith, dirigente di Goldman Sachs, nel giorno delle sue dimissioni. Da dodici anni in forza al colosso bancario americano nella sede di Londra, il manager ha scelto come cassa di risonanza per il suo sfogo le pagine del New York Times, dove ha pubblicato un caustico commento. «L'interesse dei clienti è sempre più marginale nelle azioni della società, che pensa solo a fare soldi», scrive, prendendo Wall Street in contropiede.

Goldman non è stata a guardare e ha subito preso le distanze. Prima con le parole di un portavoce («il punto di vista espresso non rispecchia il modo in cui agiamo. Il successo dei clienti è il cuore del nostro business», si leggeva in una nota). Quindi con una risposta formale, arrivata con una lettera ai dipendenti, firmata dall'amministratore delegato Lloyd Blankfein e dal direttore operativo Gary Cohn. «Non siamo perfetti, ma rispondiamo in modo serio e concreto se emerge un problema, lo abbiamo dimostrato con i fatti» anche durante la crisi finanziaria. I due ammettono che in un'azienda con oltre 30.000 dipendenti ci possono essere malumori e malcontento e che «tutti hanno diritto ad avere un'opinione, ma è una cosa spiacevole quando uno parla a voce più alta del normale e dalle pagine di un giornale».

Proprio ai due dirigenti erano indirizzate le parole più dure dell'editoriale di Smith, che non perdona ai vertici dell'azienda di avere accantonato lo spirito con cui Goldman è stata fondata 143 anni fa, uno spirito centrato «sul lavoro di squadra, l'integrità, l'umiltà e il bene dei clienti». I libri di storia, scrive Smith, parleranno di come Lloyd Blankfein e Gary Cohn hanno perso di vista la vera cultura della società, trascinandola verso «una perdita del tessuto morale» che potrebbe portare la banca alla rovina.

Qualcuno dice che l'ex dirigente avrebbe dato sfogo al suo malcontento per non avere avuto abbastanza spazio nell'azienda: la sua carica non è di particolare prestigio e la divisione di cui era a capo, quella che si occupa di derivati per Europa, Asia e Medio Oriente, avrebbe solo lui tra i dipendenti fissi. Altri agitano lo spettro della vendetta, ricordando che non è chiara la dinamica delle dimissioni e che a inizio anno ci sarebbero stati attriti tra Smith e la società sul pagamento dei bonus per il 2011. Ma al di là di questo, tutti sono concordi nel dire che la lettera aperta è stata per Goldman un fulmine a ciel sereno, ma non troppo. La banca non è nuova agli attacchi, qualche volta al limite dell'insulto (iconica in questo senso la descrizione che ne fece il mensile Rolling Stone, parlando dell'istituto come di «una grande piovra-vampiro»). E Goldman non è nuova neppure agli scandali, come quello dell'aprile 2010 quando la Securities and Exchange Commission, la Consob americana, accusò la banca di frode su complessi strumenti di debito: la banca fu costretta a pagare 550 milioni di dollari e l'allora dirigente Fabrice Tourre finì sulla gogna politica e mediatica per aver scritto di essere «l'unico in grado di comprendere le mostruosità» che aveva creato.

Su Twitter, Facebook e sui blog è partita una girandola di reazioni e le accuse incendiarie di Smith sono destinate a riaprire il dibattito sulle pratiche di Wall Street e, in particolare, su Goldman. La banca, ancora da più parti considerata un esempio degli eccessi di Wall Street, ha fatto di tutto per allontanare da sé le ombre, apparentemente senza successo. «È cambiata la mentalità della banca nel modo di investire e questo riflette un cambiamento del mercato negli ultimi quindici o vent'anni», ha commentato l'ex presidente della Banca Centrale americana Paul Volcker. E in alcuni casi Goldman ci ha messo del suo: nel 2009 Blankfein aveva detto in un'intervista al Times di Londra che la società era «chiamata a fare il volere di Dio». Arroganza si disse allora, proprio come ha scritto ieri Smith.

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