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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2012 alle ore 08:00.

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ROMA - Gli strumenti derivati emessi della Repubblica italiana «a copertura del debito» hanno ad oggi un valore nozionale complessivo pari a circa 160 miliardi di euro a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi. Il portafoglio degli swap del Tesoro, dunque, ammonta a poco meno del 10% dei titoli di Stato in essere.
Lo ha reso noto giovedì 15 marzo alla Camera il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Marco Rossi Doria, in risposta a un'interpellanza urgente presentata dai deputati dell'Italia dei valori (Idv) Borghesi, Donadi, Mura, Messina e Barbato. Il resoconto stenografico è poi stato pubblicato sul sito della Camera. Doria, e non il ministero dell'Economia, ha così alzato il velo su un tema, quello degli swap in via Venti Settembre, molto dibattuto ma caratterizzato finora da scarsa trasparenza.

Doria ha puntualizzato che il valore nozionale (il valore sottostante al derivato) pari a 160 miliardi è suddiviso in circa 100 miliardi di interest rate swap, 36 miliardi di cross currency swap (sulle valute), 20 swaption e 3,5 miliardi di swap ex Ispa (Infrastrutture spa). Nel dettaglio, i 36 miliardi di swap sulle divise corrispondono «alla quasi totalità» dei bond emessi dal Tesoro nel corso degli anni in valuta estera (in passato gli Italy bond sono stati denominati spesso in dollari Usa, franchi svizzeri, sterline e yen).
Nel rispondere alle articolate interrogazioni dell'Idv sui derivati, Doria ha spiegato che «risulta fuorviante associare ai derivati...il concetto di guadagno e di perdita». Nella forma e nelle modalità usate dal Tesoro nell'ambito della gestione del debito pubblico, e in considerazione «dell'ammontare limitato dei derivati relativamente allo stock di debito», ogni anno «si sono verificati - e si verificheranno in futuro - differenziali positivi o negativi tra quanto pagato e quanto incassato, derivanti dall'andamenti dei parametri di indicizzazione». E «riportati annualmente con chiarezza nei documenti statistici ufficiali».

Doria ha messo in chiaro che l'attività in derivati del Tesoro «autorizzata per legge fin dal 1984 ed espletata per il tramite di banche specialiste di titoli di Stato si è concentrata nella copertura dal rischio di tasso di interesse con l'utilizzo di strumenti standard come gli interest rate swap», con i quali il Tesoro «tipicamente riceve da una controparte bancaria un tasso variabile e paga un tasso fisso su un nozionale convenzionale prestabilito». Il Tesoro con gli Irs si sarebbe immunizzato dai rialzi dei tassi e avrebbe contribuito ad allungare la durata finanziaria del debito. In quanto alle swaption, che sono invece strumenti derivati complessi tanto da aver messo alle corde più volte gli assessori al bilancio meno preparati nel mondo della finanza locale, Doria ha precisato che sono «marginalmente presenti» nel portafoglio della Repubblica italiana: si tratta di opzioni con le quali «si vende alla controparte il diritto di entrare in un interest rate swap in data futura».

In questo resoconto alla Camera, il valore di mercato del «portafoglio derivati» della Repubblica italiana viene soltanto definito e dato come «il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente che varia continuamente al variare del livello dei tassi di mercato»: il valore però non è stato reso noto. In quanto all'operazione a fine 2011 con Morgan Stanley, che ha comportato un pagamento di 2,567 miliardi da parte del Tesoro, è emerso che sono stati chiusi anticipatamente due interest rate swap e due swaption. In conseguenza di una clausola di «additional termination event». Una clausola stipulata in un contratto risalente al 1994 e «unica». Antonio Borghesi, nella replica, ha convenuto che «un'esposizione» in derivati da 160 miliardi «non è piccolissima» e ha sollevato un problema su un ipotetico conflitto di interessi sui soggetti interessati all'operazione di chiusura volontaria anticipata sugli swap tra Morgan Stanley e Tesoro.

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